Mal d'Egitto

Scioperi in Egitto

« Older   Newer »
  Share  
Cleopatra79
view post Posted on 17/2/2007, 17:13 by: Cleopatra79




SCIOPERA LA MIRAFIORI D'EGITTO
Ondata di proteste operaie, tra inflazione e privatizzazioni. Incrocia le braccia soprattutto l'aristocrazia dei lavoratori: il tessile


image
(nella foto, lo sciopero di Ghazl el Mahalla nel dicembre 2006, foto di Nasser Nouri dal blog egiziano arabist.net/arabawy)

Paola Caridi

Venerdi' 16 Febbraio 2007

Torino sta alla classe operaia italiana come Kafr el Dawwar, nel Delta del Nilo, sta a quella egiziana. Così era, agli albori dell’industrializzazione che in Egitto si è sviluppata attorno al tessile. Così è stato dopo la rivoluzione nasseriana, che ha fatto del cotone uno dei simboli della “nuova era”. E così è anche oggi, mentre il governo del Cairo continua, soprattutto negli anni più recenti, a cercare di privatizzare il più possibile delle enormi fabbriche statali. È per questo che, quando all’inizio di febbraio, sono scesi in sciopero anche i lavoratori del comparto tessile di Kafr al Dawwar, al Cairo è suonato forte il campanello d’allarme.
A dire il vero, stavolta gli operai di Kafr al Dawwar non sono stati i primi a incrociare le braccia, come hanno spesso fatto nella loro storia. Sono arrivati, anzi, due mesi dopo i loro colleghi della più grande fabbrica tessile d’Egitto di Ghazl el Mahalla. Una struttura enorme, da 27mila posti di lavoro, costretta a fermare la produzione perché migliaia di operai (chi dice oltre diecimila, chi raddoppia addirittura i numeri) avevano deciso di scioperare. Contro i dirigenti, ma anche contro la locale rappresentanza sindacale. Oggetto del contendere: il bonus annuale che spetta ai lavoratori del pubblico impiego, e che si quantifica in due mesi di stipendio l’anno.
In termini italiani, scioperare per il bonus sembra un lusso. Ma per un operaio di Ghazl el Mahalla, che guadagna sì e no cinquanta dollari come la media dei lavoratori del tessile, quel bonus significa riuscire a far mangiare la famiglia. Soprattutto dopo i vertiginosi aumenti dei prezzi al consumo, che negli ultimi due anni sono saliti del 160%,e con una inflazione che all’inizio del 2007 galoppa al 12%. Dopo un duro braccio di ferro, i lavoratori di Mahalla hanno raggiunto un compromesso onorevole, se così si può dire. La storia, però, non si è conclusa con una stretta di mano tra sindacalisti e dirigenti aziendali. Né è rimasta circoscritta a Ghazl el Mahalla.
Mahalla, anzi, è stato solo l’inizio di un effetto domino che alcuni analisti vedono direttamente legato alle elezioni con cui sono stati rinnovati i vertici della Federazione sindacale egiziana, e che hanno fatto di nuovo gridare le opposizioni al regime di Hosni Mubarak alle violazioni e ai brogli. Lo scorso novembre, oltre un milione e quattrocentomila votanti hanno rinnovato 816 consigli locali di undici tra le più importanti federazioni sindacali, dai tessili alle ferrovie, dal comparto alimentare a quello elettrico, metallurgico, chimico. Il quarto stato egiziano, insomma, è andato a votare per i consigli locali e, a piramide, per i vertici nazionali di un sindacato che è sempre stato controllato dalle autorità. Perché in Egitto non esiste la possibilità legale di un sindacato indipendente. E anche gli ultimi tentativi dei Fratelli musulmani, che avevano provato a creare un’unione studentesca universitaria slegata da quella ufficiale, sono stati subito repressi dalle forze dell’ordine, assieme a una pressione molto forte quando si è trattato di rinnovare i rappresentanti degli studenti “ufficiali”.
La novità, quest’anno, sta nella presenza sempre più evidente dei Fratelli musulmani non solo all’interno della classe media, tra i professionisti di cui dirige tutte o quasi le associazioni di categoria (dagli ingegneri ai medici, dai farmacisti sino a una fortissima presenza tra gli avvocati). L’Ikhwan è ben rappresentata, ora, anche all’interno del mondo del lavoro. Si parla, addirittura, di ruoli importanti della Fratellanza in ben 1700 sindacati locali su 2200. La struttura centralizzata del sindacato, i vertici della Federazione Nazionale insomma, è tutt’altra storia, invece. Perché dopo le ultime designazioni, il partito dei Mubarak, lo Ndp che vede sempre più in ascesa il figlio di Hosni, controlla 22 dei 23 seggi del consiglio. Con l’eccezione del rappresentante di un piccolo partito come il Tagammu.
L’ondata di proteste che è seguita alla tornata elettorale, dunque, ha reso evidente la distanza tra la burocrazia sindacale e le nuove leve dei lavoratori. Prima Ghazl el Mahalla, all’inizio di dicembre. E poi a seguire mille operai della Torah Cement, con management italiano della Italcementi, in sciopero per il bonus. I netturbini del quartiere bene del Cairo, Ma’adi. Quelli di uno degli allevamenti intensivi di polli, che chiedevano incentivi legati alla pericolosità del lavoro per i casi di febbre aviaria negli uomini. I lavoratori tessili di Ghazl Shebeen al Kum, in via di privatizzazione. E infine Kafr el Dawwar, l’aristocrazia operaia del tessile egiziano.
Tutti, o quasi, scioperi partiti con le rivendicazioni sul bonus. Tutti, o quasi, scioperi che hanno sconfessato le proprie rappresentanze sindacali. Con il caso eclatante, ancora una volta, di Ghazl el Mahalla, dove sono state raccolte 14mila firme autenticate per chiedere lo scioglimento del consiglio locale del sindacato. Una richiesta che dà alle rivendicazioni puramente retributive quelle nuance politiche (legate ai Fratelli musulmani, ma anche alla sinistra marxista e operaista) che fanno dell’inverno caldo egiziano un caso da tenere sotto osservazione.

Fonte: Lettera22
 
Top
22 replies since 17/2/2007, 17:13   1297 views
  Share