L’Egitto e la sua gabbiaAllettantante meta turistica, amico degli occidentali, l´ Egitto di Mubarak è un paese "ossificato e sclerotizzato"
Il Cairo, 29 Dic. Trovare poche parole che siano in grado di spiegare l’aria che si respira in uno dei paesi più occidentalizzati del medioriente, almeno nella finanza, come l’Egitto, non è cosa facile. Un compito talmente difficoltoso che la maggior parte dei media occidentali hanno voluto evitare di affrontare, compiacendosi, ed accontentandosi, dei sostegni dei poteri governativi; riservati a chi, come appunto i media, evitano di scoprire le indubbie responsabilità occidentali verso gli egiziani e le loro libertà democratiche. Responsabilità politiche e morali di enorme portata, con cui le attuali e future classi generazionali dovranno, prima o poi, farne i conti. Perché l’Egitto non è semplicemente il paese dei faraoni e delle mete turistiche preferite dagli italiani, ma un paese con una precisa, e per nulla scontata, valenza geopolitica mediterranea. Un forte alleato e un vicino di casa, che con l’Italia divide il fondamentale “Mar Mediterraneo” e che ci lega, nella buona o cattiva sorte, in un progetto e ad un destino comune.
Nonostante la rilevanza geostrategica, un italiano che volesse ottenere informazioni su questo paese è “costretto” a compiere ricerche in lingua inglese. Nonostante la bravura di alcuni giornali on line indipendenti italiani, il povero italiano alla ricerca di informazioni su questo paese è indotto ad andare oltre i confini nazionali, imbattendosi con chi, magari perché segue la politica americana o palestinese, ha invece compreso il dramma tutto egiziano.
L’Egitto, repubblica presidenziale, non ha mai conosciuto altro, nell’ultimo secolo, che andasse al di fuori della dittatura militare. Mubarak, al potere dal 1981, venne eletto presidente al posto di Anwar al-Sadat, a seguito dell’assassinio di questi per mano integralista. Nonostante il forte scontento popolare verso il governo di Mubarak, gli egiziani non riescono a chiedere, e nessuno gli sostiene a proposito, una decisa svolta nella politica nazionale, ed in certi riflessi anche in quella internazionale. Se chiediamo come mai questo possa accadere a coloro che in Egitto, e in particolare all’estero, spingono tutti i giorni per ottenere uno status quo differente e più umano, otterremo sempre la stessa fatidica risposta, riassumibile in questa opinione comune “L’Egitto è un paese sfrontato, con una forte apatia politica. Un paese ossificato e sclerotizzato”.
Parole che riassumono perfettamente l’Egitto di Mubarak, da questi del tutto assoggettato al proprio volere e piacimento. Hosni Mubarak è stato in grado di appiattire la dialettica egiziana, quel poco che ne era rimasta quando sedette sulla sua morbida poltrona. Egli ha sempre temuto i poteri costituiti e sarebbe un errore considerare il suo regime meno oppressivo di quello di Sadat o Nasser. Forse, come in più occasioni hanno ribadito i media nostrani, è meno dispotico nelle forme. Ma in sostanza, da quando Hosni è al potere, ci sono state piè esecuzioni (oltre 70.000 presunti terroristi) e detenzioni (oltre 23.000 islamisti ancora oggi chiusi dietro le sbarre) che in tutta la storia dell’Egitto moderno. Qualche osservatore indipendente ha giustamente fatto notare che il presidente vive una vera e propria ossessione verso il proprio potere. Con lui, ha sostenuto, non si sono mai visti così tanti ministri servili alla sua persona.
Il suo operato, come quello di tutti i dittatori, è stato indirizzato per ottenere l’appiattimento della politica egiziana, e con essa la vita stessa dell’egiziano medio. E a tal proposito, appaiono più che esatte le parole di Amed Alaidy, giovane cantore del minimalismo egiziano, che in un’intervista concessa a Lettera22.it ha considerato gli egiziani come “Autistici, perché il mondo è solo quello interiore. Con il proprio linguaggio, il proprio gergo, i propri slogan, i propri metodi”. Un chiaro risultato del voluto svuotamento sociale.
Considerato un “paese moderato” dai paesi occidentali, in particolare dagli Usa, il governo egiziano è tutt’altro meritevole di questa accezione. Soffocato dalla dittatura, l’Egitto è considerato tale dagli opportunismi occidentali solo per il ruolo che egli svolge in chiave mediorientale. Asservito dal potere, e dall’enorme sostentamento finanziario americano, Mubarak è stato in grado per la sua indiscussa capacità diplomatica, a ricucire i rapporti tra i paesi mediorientali in funzione degli interessi americani. Come nel ’91, quando gli Usa chiesero proprio a lui di giocarsi i rapporti diplomatici mediorientali in chiave anti-irachena, ottenendo un’ampia coalizione mediorientale contro l’invasione del Kuwait, oltre che il primo supporto logistico dell’aerea con 35.000 uomini ben armati.
Un sostegno per nulla male, che ha fruttato all’Egitto oltre ad un sostentamento economico americano assicurato, l’annullamento di 25 miliardi di dollari deciso dal Club di Parigi, un rapporto privilegiato con l’Arabia Saudita e con i paesi del Golfo (che sosteranno la politica dell’emigrazione egiziana nella penisola arabica) e grossi finanziamenti sauditi ed emirati in Egitto. Un’enorme bottino, che si è ripetuto in altre occasioni similari, sufficienti a convincere Mubarak della valenza di questo rapporto privilegiato.
Mubarak sa benissimo quanto sia importante non avere attriti con l’America, protagonista di innumerevoli cadute dittatoriali a lei ostili, e sicuramente è una carta fondamentale che gli ha assicurato il mantenimento della poltrona. Tuttavia, non sarebbe sufficiente per spiegare il motivo per cui Hosni è stato in grado di conservare il potere per ben 25 anni.
Una delle innumerevoli risposte potremmo darla, o almeno provare, osservando la natura geopolitica dell’Egitto e della sua posizione mediorientale, che oltre a quella puramente geopolitica comprende anche quella culturale, intesa come punto di riferimento regionale. Il Mediterraneo è sempre stata la fortuna di questo paese, ma al contempo la sua dannazione. Se c’è una crisi che si propaga in medioriente, l’Egitto ne verrà coinvolta molto presto. Fra le tante crisi, vi sono in primis quelle terroristiche, alla luce degli attentati di Taba e Sharm el-Sheik, essendo rimasto l’Egitto l’unico baluardo di una sorta di coscienza araba transnazionale, in conflitto con l’ideologia Qedista, anch’essa di stessa natura.
Confinante con la Libia, il Sudan a Sud, Israele e Territori Palestinesi, l’Egitto deve fare i conti con una vasta area islamica che va dal Mashrak al Maghreb, oltre ad una rinnovata opposizione interna gestita dai “Fratelli Musulmani”- accattivata dall’arroganza del regime di tutti questi anni - che fanno perno su l’85% degli egiziani di etnia Araba. In queste condizioni, si comprende la suscettibilità agli scossoni regionali.
L’instabilità del paese, assieme all’appiattimento della dialettica politica, induce gli egiziani (per motivi lontani ma simili anche i russi) a vedere nella figura di Hosni Mubarak l’unica soluzione possibile, seppur percepita collettivamente come “temporanea”. Inoltre, il desiderio di stabilità (che, ad esempio, anche nella “democratica” Israele apporta ampi poteri ai militari) si affianca ad una eterogeneità della società egiziana, nella cultura e nella religione - oltre all’emarginazione causata dalla profonda spaccatura fra i pochi che producono danaro e i restanti che rimangono a bocca asciutta - che rende profondamente insicura qualunque alternativa politica, che non si sia imposta con la forza.
Stefano Totaro
Data: 29/12/2006 Fonte:
Voce d'Italia