Mutilazioni rischiano troppe bimbeIl taglio dei genitali esterni femminili è una pratica ancora diffusa in molti Paesi islamici, specie africani. E c’è il rischio che venga “importata” anche in Italia di FARIAN SABAHI
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Egitto le mutilazioni genitali femminili sono state vietate due mesi fa ma, nonostante i divieti, questa pratica trova ancora un largo consenso e nei giorni scorsi una tredicenne è morta. La vicenda ha trovato spazio sui mezzi d’informazione egiziani ed è poi rimbalzata sui giornali italiani, dov’è stata percepita, più che altro, come un fatto esotico, che non ci appartiene. In verità, complici le vacanze estive, le mutilazioni genitali femminili rischiano di diventare una realtà anche in Italia. A farmelo pensare sono due incontri casuali.
In un parco torinese, un’italiana sposata a un cuoco egiziano ha espresso preoccupazione pochi giorni prima di partire per l’Egitto: «È la prima volta che andiamo dalla sua famiglia da quando sono nate le bambine, sono piccole ma ho paura siano “tagliate”: è la volontà di mio marito, visto che nella sua famiglia la mutilazione è praticata. Se succede, scateno un putiferio!», minaccia, consapevole però di poter far ben poco in uno sperduto villaggio nel delta del Nilo.
Qualche giorno dopo, durante un dibattito a Gallipoli, un italiano convertito all’Islam ha dichiarato, di fronte a una platea inorridita, che tagliando i genitali esterni a una bambina «le si fa un favore». Nel Corano non vi sono versi a sostegno delle mutilazioni genitali femminili, che trovano consenso in tradizioni locali, condivise da musulmani, cristiani e animisti, principalmente in Egitto e nel Corno d’Africa. Fino a poco tempo fa, a peggiorare la situazione era l’approvazione di queste pratiche da parte dei giuristi dell’Università Al-Azhar che, per secoli, hanno difeso le mutilazioni recitando un dubbio «hadith» secondo il quale Maometto invitò a «tagliare senza distruggere».
Le mutilazioni genitali femminili sono oggetto di discussione in molti Paesi dell’Africa, il continente in cui sono maggiormente diffuse. Il padre del Kenya moderno, Yomo Keniatta, sostenne che l’infibulazione è una pratica culturale importante. Presidente del Burkina Faso, Thomas Sankara la mise invece al bando con una legge del 1985. E dal 31 marzo di quest’anno l’infibulazione è reato anche in Eritrea, dove per i trasgressori sono previste multe e un periodo di reclusione.
L’Europa reagisce in modo diverso: la Svezia ha vietato le mutilazioni genitali femminili fin dal 1982 mentre in Italia, dopo un dibattito in cui si era ipotizzato di sottoporre le bambine immigrate a una forma lieve di escissione nelle strutture sanitarie nazionali, il Parlamento ha provveduto a promulgare un’apposita legge il 9 gennaio 2006. E ha aggiunto al Codice penale l’articolo 583 bis che punisce con la reclusione da 4 a 12 anni chi cagiona una mutilazione degli organi genitali femminili.
A rischiare la reclusione sono sia il cittadino italiano sia lo straniero residente in Italia. Promulgare le leggi non basta però a far cambiare mentalità. Come reagire quindi al pericolo che corrono molte bambine italiane, nate da matrimoni misti, senza dimenticare le tante straniere residenti nel nostro Paese? Non ci sono statistiche precise, ma secondo gli operatori sarebbero a rischio centinaia di bambine.
È necessario un lavoro in cui tutti dobbiamo essere coinvolti. Sarebbe quindi opportuno dare maggiori informazioni, distribuendo l’opuscolo stilato dal ministero delle Pari opportunità durante la scorsa legislatura. A farsi carico della campagna dovrebbero essere le scuole, i medici di base e gli stessi mezzi d’informazione. Spiegando ai genitori i rischi sanitari e psicologici ma anche le sanzioni finalmente introdotte nel nostro sistema legale, che si spera abbiano un effetto deterrente.
13/8/2007
Fonte:laStampa