Mal d'Egitto

Egitto in rivolta contro il governo di Mubarak, prima e dopo la "Giornata della collera"

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O t t a
view post Posted on 10/1/2011, 08:57




lunedì, 10 gennaio 2011, 08:00

E ora in Egitto si teme l’arrivo del «contagio»

Il Cairo
È una «presa di coscienza» del mondo arabo che «si sta preparando a ribellarsi alle dittature»?. La domanda viaggia su Twitter e Facebook fra i giovani egiziani, che seguono con grande attenzione la rivolta del pane prima in Tunisia e poi in Algeria. Uno di loro aveva anche pensato di organizzare una manifestazione di solidarietà con i manifestanti tunisini, poi annullata per l’attentato ad Alessandria, mentre fra i commentatori e giornalisti di opposizione prevale l’idea che quanto sta avvenendo nei due Paesi maghrebini avrà un effetto domino in Egitto, che ha vissuto simili proteste nel 2008.
Nei messaggi sul web i giovani più disincantati si confrontano con quanti vedono nella rivolta del Maghreb quasi un esempio per l’Egitto. «Vi dimenticate che da noi non succede niente» scrive un giovane, mentre un altro dice che occorre invece «incoraggiare la gente a non farsi prendere dalla passività e dalla disperazione». «Ecco un popolo che muore per la patria e non per una partita di calcio», ironizza un internauta, riferendosi alle violenze che sono scoppiate in Egitto quando l’Algeria ha battuto la nazionale, escludendola dai mondiali del Sud Africa. Il cambiamento verrà dall’Alto Egitto «per le condizioni difficili nelle quali si trovano i giovani» prevede un altro blogger, mentre si intrecciano slogan come «Sì al cambiamento e alla democrazia, No alla frode e alla corruzione».
Il noto blogger d’opposizione Mohamed Marei aveva pensato con altri blogger di organizzare una manifestazione di sostegno domenica scorsa in centro al Cairo, ma dopo l’attentato ad Alessandria è stato tutto bloccato. «I regimi arabi dittatoriali e polizieschi sono falliti. La situazione ha cominciato a esplodere il Tunisia, il contagio è arrivato in Algeria e senza dubbio toccherà altri Paesi arabi», dice Marei.
Mentre sul web il dibattito è vivace, gli avvenimenti di Tunisia e Algeria finora non hanno avuto una grande eco sulla stampa egiziana, concentrata sull’attentato di Alessandria. Secondo un commentatore del quotidiano indipendente Masri El Youm, Hassan Nafaa, «esistono denominatori comuni fra Tunisia ed Egitto. Una famiglia dirige il Paese. Ben Ali controlla la situazione grazie alla polizia mentre sua moglie e i suoi figli controllano l’economia: la stessa situazione c’è in Egitto».
«Gli egiziani sono più pazienti», osserva, anche se a suo giudizio ci sarà l’effetto domino pure in Egitto. «La situazione politica è tesa: c’è delusione popolare per le frodi elettorali alle elezioni di dicembre, con lo spettro di una transizione alla presidenza, da padre in figlio». Secondo Abdallah el Senawi, caporedattore del giornale nasseriano El Arabi, ci sono analogie fra la situazione algerina e tunisina con altri Paesi arabi. «In Egitto - spiega - il carovita, l’oppressione poliziesca, il monopolio dell’economia e della vita politica da parte di una piccola minoranza lascia presagire una violenza inevitabile».

Il Giornale
 
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O t t a
view post Posted on 16/1/2011, 23:38




Mondo arabo: tunisia, la paura dell'effetto domino
Con l'acuirsi della crisi economica e l'aumento della disoccupazione giovanile i tiranni arabi temono rivolte a catena.


15 gennaio 2011

Feroci repressori e, allo stesso tempo, buoni amici degli Stati Uniti e dei governi europei, i leader di diversi regimi arabi seguono con attenzione, e una crescente preoccupazione, la sorte subita dal «collega» tunisino Ben Ali, costretto ad abbandonare il paese e a dire addio ad un potere mantenuto col pugno di ferro per 23 anni consecutivi. Non che temano quell'«effetto domino» del quale si parla da quando i giovani nordafricani un mese fa accessero la miccia della rivolta.

Eppure il fatto che un tiranno potente e brutale come Ben Ali non sia riuscito a domare la rivolta e sia stato costretto a fuggire, inquieta non poco i tanti autocrati - presidenti e petromonarchi - al potere, spesso da decenni, all'ombra della protezione di Washington. La fuga di Ben Ali ma soprattutto le proteste violente delle ultime settimane in Tunisia sono state seguite passo passo dalle tv satellitari e da internet in Medio Oriente, dove l'alto tasso di disoccupazione, l'aumento di popolazione giovane, l'inflazione galoppante e un profondo gap tra ricchi e poveri sono problemi gravi e condivisi. «La preoccupazione esiste - spiega al manifesto l'analista arabo Mouin Rabbani -, i leader di vari paesi arabi, a cominciare dall'Egitto, hanno costruito il loro potere e le loro fortune economiche allo stesso modo di Ben Ali. E ora che il dittatore tunisino ha dovuto abbandonare il potere si sentono più fragili. Non a caso alcuni di loro hanno scelto una posizione di basso profilo e hanno messo da parte, almeno per il momento, la loro abituale arroganza». Anche Rabbani non crede a un «effetto domino», almeno per ora.

«Esistono le similitudini, ma anche differenze tra paese e paese, ed è improbabile che possano ripetersi rivolte così ampie come quella tunisina», prevede l'analista. «D'altronde - aggiunge Rabbani - Ben Ali ha commesso un errore gravissimo a causa del delirio di onnipotenza che lo condiziona. Non ha compreso che la situazione economica e sociale era diventata insostenibile per gran parte della sua popolazione e non ha fatto alcun passo per alleviare le sofferenze dei tunisini, peraltro già privati di libertà fondamentali». Al contrario, prosegue l'analista, «altri leader arabi si sono dimostrati più lungimiranti e di fronte all'acuirsi della crisi economica hanno garantito maggiori sussidi statali e aiuti alle popolazioni».

È il caso della Giordania, dove la monarchia e il governo hanno varato provvedimenti per placare il malcontento popolare per la crisi economica e impedire che si trasformasse in una rivolta a sfondo politico. Il premier Samir Refai, ad esempio, ha approvato un pacchetto da 225 milioni di dollari per ridurre il costo di alcuni prodotti come riso e zucchero e del carburante. Provvedimenti insufficienti visto che ieri migliaia di giordani sono scesi in piazza in diverse città del regno, organizzati dai partiti di sinistra. «Volevano convincere la gente a non scendere in strada, ma siamo riusciti a mostrare ugualmente la nostra collera» dice Mansour Murad, ex parlamentare del Movimento sociale nazionale.

Ma in Giordania, e soprattutto in Egitto, continuano a tenersi lontano dalle piazze i Fratelli Musulmani che mantengono una posizione ambigua. Gli islamisti da un lato criticano i regimi e dall'altro non fanno nulla o quasi di concreto per alimentare e cavalcare la rabbia popolare. Ma anche loro presto saranno chiamati a prendere una posizione netta se, come prevede il Fondo Monetario Internazionale, per soddisfare i bisogni delle nuove generazioni i paesi arabi dovranno creare 100 milioni di posti di lavoro entro il 2020. Altrimenti la rivolta tunisina attraverserà tutta la regione.

pane-rose

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Tunisia: Egitto, no effetto macchia d'olio

Ministro Esteri Gheit a Paesi occidentali, non interferire


IL CAIRO, 16 gennaio 2011, 19:34

I timori di un effetto 'a macchia d'olio' dalla Tunisia ad altri Paesi arabi e' 'insensata'. Lo ha affermato il ministro degli Esteri egiziano Ahmed Abul Gheit, mettendo anche in guardia Paesi occidentali da ingerenze. Il ministro e' stato interpellato dai giornalisti a Sharm el Sheik dove mercoledi' si terra' il secondo vertice socio economico dei leader della Lega araba, al quale partecipera' anche il ministro degli Esteri di Tunisi Kamal Morgan.

Ansa.it

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TUNISIA: EGITTO, OCCIDENTE NON INTERFERISCA IN AFFARI ARABI


Il Cairo, 16 gennaio 2011- 20:58

Con un'inusuale durezza il ministro degli Esteri egiziano, Ahmed Abul Gheit, ha intimato all'Occidente di non interferire negli affari arabi. Le parole del capo della diplomazia egiziano giungono a pochi giorni dall'invito del segretario di Stato americano Hillary Clinton che aveva esortato i leader arabi a lavorare con i loro popoli per avviare serie riforme dopo la fine del regime tunisino.

AGI
 
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O t t a
view post Posted on 17/1/2011, 11:15




Egitto, si dà fuoco per protesta, finisce in ospedale

lunedì 17 gennaio 2011 - 10:25

Il CAIRO - Un egiziano si è dato fuoco oggi vicino al Parlamento in quello che sembra un gesto di protesta contro standard di vita troppo bassi, secondo quanto riferito da un testimone e da alcuni funzionari, richiamando alla mente il drammatico gesto che ha dato il via alle proteste in Tunisia.

Un testimone, che lavora in Parlamento, ha raccontato che l'uomo si è versato addosso della benzina e si è dato fuoco quando qualcuno ha cercato di avvicinarlo. Poi le fiamme sono state spente e l'uomo è stato portato all'ospedale.

Una fonte del Ministero dell'Interno ha detto che l'uomo è il proprietario di un ristorantino e che stava protestando per i suoi standard di vita troppo bassi. Un'altra fonte della sicurezza ha detto che era ferito soprattutto alle mani e al volto, e che la gravità delle ustioni non è chiara.

Le proteste che hanno portato alla destituzione del presidente tunisino Zine al-Abidine Ben Ali sono scoppiate dopo un analogo gesto da parte di un fruttivendolo 26enne, Mohamed Bouazizi, che si diede fuoco il 17 dicembre dopo che la polizia aveva sequestrato la sua merce.

Bouazizi è morto dopo settimane di agonia diventando un martire per migliaia di studenti e di disoccupati che protestano contro le pessime condizioni di vita.

Al-Masry Al-Youm sul proprio sito Web ha citato un testimone secondo cui l'egiziano stava intonando slogan contro l'apparato di sicurezza dello Stato prima di darsi fuoco.

Secondo analisti, esponenti dell'opposizione e gente comune la rivolta tunisina potrebbe estendersi. Come i tunisini, molti arabi sono frustrati per il continuo aumento dei prezzi, la povertà e tra l'altro l'alto tasso di disoccupazione.

Reuters

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17 Gennaio 2011 - 10:51

Egitto, si dà fuoco davanti a Parlamento
Il gesto estremo evoca quello del giovane tunisino, Mohamed Bouaziz, di 26 anni, il 17 dicembre scorso che diede il via alla sollevazione popolare in Tunisi


Un uomo si è dato fuoco, probabilmente per protesta, all’esterno del Parlamento egiziano. Il ministero dell’Interno ha reso noto che l’uomo è il proprietario di un piccolo ristorante e intendeva protestare per la scarsa qualità dei suoi standard di vita. Non sembra comunque ferito gravemente grazie "all’intervento di un agente che ha spento le fiamme e ha fatto intervenire un’ambulanza".
L’uomo, proveniente dalla regione di Ismailia, sulla riva occidentale del Canale di Suez, a nord del Cairo, si è visto chiudere il ristorante di cui è proprietario e dopo aver tentato di farlo riaprire, ha deciso di andare al Cairo per portare la richiesta direttamente all’Assemblea del popolo. Secondo un testimone citato da un sito indipendente l’uomo ha gridato slogan contro la sicurezza egiziana prima di cospargersi di benzina e darsi fuoco.
Il gesto estremo evoca quello del giovane tunisino, Mohamed Bouaziz, di 26 anni, il 17 dicembre scorso che diede il via alla sollevazione popolare in Tunisi. Ieri tre casi simili si sono registrati in Algeria.

L'Essenziale


 
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O t t a
view post Posted on 17/1/2011, 15:26




Tunisia: Egitto rassicura, crisi Tunisi non ci investira'

ultimo aggiornamento: 17 gennaio, ore 10:03

L'Egitto non sara' coinvolto dalla crisi che ha travolto la Tunisia, costringendo il suo presidente ad abbandonare il potere. Lo assicura il ministro egiziano degli Investimenti, Rashid Mohamed Rashid, a Sharm El Sheikh per il secondo Summit economico arabo. “L'Egitto è un caso diverso dalla Tunisia. La crisi che si è registrata in Tunisia non si ripetera' in Egitto'', ha detto.

“La Tunisia, come molti altri Stati arabi, ha interrotto le sovvenzioni per i beni alimentari e per il petrolio molti anni fa - spiega Rashid -. Questo l'ha resa molto soggetta ai cambiamenti dei prezzi mondiali, per questo i consumatori sono stati colpiti direttamente e le frustrazioni hanno di conseguenza registrato un'escalation''.

Spiegando la differente situazione dell'Egitto, Rashid ha detto che qui “il sistema dei sussidi ha protetto i consumatori dall'aumento del 50 per cento dei prezzi alimentari nel mondo''. Il ministro ha quindi sostenuto che la crisi tunisina comporta un'accelerazione della cooperazione economica e nell'integrazione tra gli Stati arabi, dicendo che ''il problema in Tunisia è principalmente di natura economica''.

Adnkronos
 
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O t t a
view post Posted on 18/1/2011, 14:57




Egitto: due persone si danno fuoco
Uno per la sparizione figlia, l'altro era disoccupato


IL CAIRO, 18 gennaio 2011 - 12:16

Due persone si sono date fuoco oggi in Egitto. Il primo episodio si è verificato al Cairo, dove un uomo anziano ha tentato di darsi alle fiamme davanti alla sede del Governo per protestare contro la polizia che non fa nulla per ritrovare la figlia scomparsa. Un giovane di 25 anni invece si è dato fuoco sul tetto della sua casa ad Alessandria d'Egitto, riportando ustioni sul 95 per cento del corpo. La famiglia ha fatto saper che il giovane era molto depresso perché disoccupato.

ANSA

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Egitto, in due si danno fuoco
Proteste al Cairo e ad Alessandria


Un avvocato si è dato fuoco di fronte alla sede del Parlamento egiziano, al Cairo. Un episodio analogo si è registrato ad Alessandria, dove un 25enne è rimasto gravemente ustionato. Il ragazzo, secondo la famiglia, era depresso perché disoccupato. Lunedì un altro giovane si era dato alle fiamme sempre di fronte al Parlamento, emulando il giovane tunisino che il 17 dicembre, con il suo gesto, aveva innescato le proteste nel suo Paese.

Ultimo aggiornamento ore 12:30

Tg Com

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Egitto: 2 uomini si danno fuoco al Cairo e ad Alessandria

ultimo aggiornamento: 18 gennaio, ore 12:41

Il Cairo - Un avvocato egiziano si e' dato fuoco questa mattina di fronte alla sede del parlamento egiziano, al Cairo. Lo hanno riferito fonti della sicurezza all'agenzia Xinhua, senza fornire per ora ulteriori dettagli. Un episodio analogo si e' registrato ad Alessandria, dove un 25enne si e' dato fuoco sul tetto della sua abitazione, riportando ustioni sul 95 per cento del corpo. La notizia e' stata confermata dal ministero egiziano della Salute, mentre la famiglia del giovane ha fatto sapere che era depresso perche' disoccupato.

Adnkronos
 
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hayaty
view post Posted on 18/1/2011, 23:47




Egitto/ Esperto: 'contagio' tunisino possibile ma è ancora presto

17/01/2011

La possibilita di una esplosione in Egitto come in Tunisia "c'è perché la situazione socio-economica qui è anche peggiore di quella della Tunisia che aveva avuto il miracolo economico aiutato dall'Ue. D'altro canto le forze di sicurezza qua sono tanto forti e più numerose": lo ha detto dal Cairo a TMNews, Gennaro Gervasio professore di Politica e Relazioni internazionali del Medio oriente.


L'Unità
 
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O t t a
view post Posted on 19/1/2011, 09:15




19 gennaio 2011 | 07:18

Tunisia: colloquio Obama-Mubarak


Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha avuto oggi un lungo colloquio telefonico con il presidente egiziano, Hosni Mubarak.

Lo ha reso noto la Casa Bianca, precisando che Obama e Mubarak hanno affrontato diverse questioni, dagli sviluppi della situazione in Tunisia e in Libano, all'attacco di Capodanno contro fedeli copti in una chiesa di Alessandria d'Egitto.

Sulla situazione in Tunisia, Obama e Mubarak - ha precisato la Casa Bianca - hanno condiviso l'invito alla calma, affinchè sia messa fine a ogni violenza e un governo ad interim possa organizzare libere elezioni.

Obama e Mubarak si sono confrontati anche su come rafforzare il processo di pace in Medio Oriente.

Ticino News

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Egitto: Obama telefona a Mubarak per discutere Tunisia e attacchi a cristiani


ultimo aggiornamento: 19 gennaio, ore 08:54

Washington - Barack Obama ha telefonato al presidente egiziano Hosny Mubarak per discutere dei temi piu' caldi della regione, la situazione in Tunisia e in Libano, e dei recenti episodi di violenza contro i cristiani copti in Egitto. Secondo quanto ha reso noto un comunicato della Casa Bianca, il presidente americano ha ribadito l'appello di Washington affinche' in Tunisia torni "la calma e si metta fine alla violenza" e il governo ad interim "rispetti i diritti umani e convochi elezioni libere e corrette".

IGN
 
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hayaty
view post Posted on 19/1/2011, 17:57




EGITTO: MORTO UOMO CHE SI È DATO FUOCO

18/01/2011

È morto Ahmed Hashem Sayed, l’uomo che questa mattina si è dato fuoco ad Alessandria. Lo riferisce alla Cnn il direttore dell’ospedale di Alessandria, Salama Abdel-Menem, mentre i giornali locali scrivono che la vittima era disoccupata.

Sempre oggi, al Cairo ha tentato di suicidarsi con il fuoco Mohammed Farouq Mohammed, un avvocato. Le sue condizioni sono attualmente stabili, con ustioni sul 5 per cento del corpo. Mohameed Yousuf, capo dell’ospedale Mouneiriya al Cairo, ha detto che Mohammed sarà dimesso nei prossimi giorni. L’uomo si è dato fuoco davanti al Parlamento in quanto l’ex moglie si rifiutava di fargli vedere le loro figlie, come ha spiegato una fonte della sicurezza e una medica alla Cnn.

Ieri Abdo Abelmonem Gafr, panettiere di una città vicina al Cairo, si è immolato davanti alla sede del Parlamento. Come riferisce il portavoce del ministero degli Interni Alla Mahmood le sue condizioni di salute non sono gravi.


Diretta News
 
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O t t a
view post Posted on 21/1/2011, 09:42




Egitto: due uomini tentano darsi fuoco
Per protestare contro le difficili condizioni di vita


20 gennaio 2011 - 20:10

IL CAIRO - Continuano a moltiplicarsi i casi di persone che si danno fuoco in Egitto per protestare contro le condizioni di vita. Due operai di un'impresa tessile nel governatorato di Menufia, della regione del delta del Nilo, sono rimasti ustionati dopo essersi dati alla fiamme per protestare contro un trasferimento forzoso. In giornata al Cairo, inoltre, un uomo ha tentato, senza successo, di immolarsi davanti all'assemblea del popolo, ma e' stato bloccato dagli agenti di sicurezza.

Ansa

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Egitto: sermone su divieto suicidio
Varie persone si sono date fuoco per protesta contro carovita


20 gennaio 2011 - 19:15

IL CAIRO - I sermoni del venerdi', giorno sacro per i musulmani, saranno dedicati al divieto del suicidio nell'Islam. Lo ha deciso il ministro per il culto egiziano, riferisce l'agenzia Mena. La direttiva, che si applichera' a tutte le moschee in Egitto, segue una serie di casi di persone che si sono date fuoco per protesta contro le difficolta' economiche, a imitazione di quanto avvenuto in Tunisia.

Ansa
 
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O t t a
view post Posted on 21/1/2011, 09:49




20 gennaio 2011

L’Egitto e il profumo del gelsomino tunisino
di Azzurra Meringolo

IL CAIRO. L'eco della rivolta di Tunisi raggiunge allarma il presidente Mubarak. Le differenze fra i due paesi. Islamismo, disoccupazione e gli interessi strategici degli Stati Uniti.

Da decenni il Cairo è sotto una cappa di inquinamento, corruzione e repressione che soffoca ogni giorno di più i suoi cittadini.

Nell’ultima settimana a questi odori sembra essersi aggiunto un leggero profumo di gelsomino proveniente dalla vicina Tunisia che, mischiandosi ai problemi che rendono l’aria della città irrespirabile, ha portato coraggio a quanti da anni sperano nel tracollo del regime egiziano.


Incollati agli schermi televisivi che trasmettevano gli eventi di Tunisi, gli egiziani hanno capito che anche le più tremende dittature hanno una fine e che anche per quella egiziana, ancor più vecchia di quella tunisina, potrebbe essere iniziato il conto alla rovescia.

Non si sa con certezza cosa accadrà, ma nelle strade del Cairo il motto è solo uno: “O’balna, O’balna”, ovvero “speriamo di essere i prossimi.” L’esempio tunisino ha ridato coraggio a tutti quegli attivisti che da anni si battono per sradicare il regime e non è quindi da escludere che anche al Cairo ci si avvicini a un momento di cambiamento.

Sale a nove il numero degli egiziani che, emulando il gesto del tunisino Mohammed Bouazizi, nei giorni scorsi si sono dati fuoco al Cairo e ad Alessandria per protestare contro le loro misere condizioni di vita.

Tra di loro si registra già la prima vittima, il venticinquenne Ahmed Hashim al Sayed, incendiatosi per disperazione: non riusciva a trovare lavoro.

Vedendo il susseguirsi di tentati suicidi e il continuo paragone agli eventi di Tunisi, il ministro della Cultura Farouk Hosni ha cercato di sdrammatizzare la situazione.

“Darsi fuoco sembra essere diventata l’ultima moda del mondo arabo” ha dichiarato al quotidiano liberale al Misry al Yaoum, sottolineando che non esiste alcuna relazione tra i gesti di questi uomini e quanto accaduto in Tunisia, dove la rivolta è iniziata proprio in questa maniera.

“A differenza della Tunisia – ha concluso Hosni - in Egitto esiste libertà di espressione.”

Le parole del ministro non convincono gran parte della popolazione che sa bene non solo che in Egitto non esiste alcuna reale libertà di espressione, ma che i problemi che hanno motivato la rivolta dei vicini tunisini sono gli stessi che attanagliano il loro paese.

La corruzione è alle stelle, ogni istanza di opposizione non riesce a trovare un minimo spazio legale nel quale agire, il divario tra ricchi e poveri cresce ogni giorno di più e la disoccupazione colpisce soprattutto i giovani, fetta importante della società.

Anche se la gravità della situazione è evidente, il regime continua a negare l’esistenza di problemi strutturali e ogni volta che si trova davanti a un incidente lo giustifica come un episodio isolato, non come una denuncia contro un sistema vecchio, stagnante e malato.

Il presidente Hosni Mibarak, campione di moderatismo e grande alleato dell’Occidente che ne apprezza la capacità di contenere l’Islam politico, ultimamente ha dimostrato di non riuscire né a garantire la sicurezza dei suoi cittadini - basti pensare a quanto accaduto ad Alesandria la notte di Capodanno - né a gestire situazioni che possono sfuggire di controllo.

Anche se ufficialmente il regime nega ogni possibilità di contagio proveniente dalla Tunisia, a porte chiuse ci si sta adoperando per evitare che questo accada o per bloccare, qualora scoppiasse, ogni scintilla di cambiamento, sia esso pacifico o rivoluzionario.

Tunisi ha insegnato qualcosa anche ai vertici del governo egiziano, che hanno capito che le promesse fatte a rivoluzione scoppiata non convincono una massa in fiamme che vuole solo il rovesciamento dell’intero sistema.

Per mettere le mani avanti, nel fine settimana scorsa alcuni membri del partito del presidente Hosni Mubarak si sarebbero incontrati con rappresentanti dei sindacati dei lavoratori per implementare piani preventivi in grado di evitare lo scoppio di proteste di massa.

Insieme al primo ministro Ahmed Nazif avrebbero convenuto che nell’immediato non ci sarebbe stato alcun aumento delle tasse e dei prezzi di beni di prima necessità.

Temendo il peggio poi, secondo quanto rivelato da Al Jazeera, già sabato scorso il presidente Hosni Mubarak avrebbe avuto un incontro a porte chiuse con i membri del Consiglio nazionale di difesa.

Obiettivo dell'incontro, l'implementazione di misure preventive per evitare ogni minimo gesto che possa provocare i cittadini.

A tutto ciò si è sommata la propaganda mediatica dei principali organi comunicativi del regime, che hanno elogiato i successi della politica economica del presidente, sottolineando che in Egitto il governo sta sovvenzionando generi alimentari e che, anche per questo, quanto accaduto in Tunisia non si ripeterà al Cairo.

Il ministro degli Esteri Ahmed Abu Gait ha descritto come privo di senso ogni paragone tra i due paesi. “Ogni nazione vive le proprie circostanze e i paesi stranieri dovrebbero smetterla di interferire nelle questioni interne egiziane”ha dichiarato ad Al Misry Al Yaoum.

Quali frutti la rivoluzione del gelsomino porterà in Egitto non è ancora chiaro: nel paese regna una certa ambivalenza perché si sa bene che, anche se condividono gli stessi problemi, gli egiziani non sono i tunisini e il Cairo non è paragonabile a Tunisi.

Chi vive sulle sponde del Nilo è terrorizzato dalla reazione della polizia e, qualora scoppiasse, una rivoluzione di strada avrebbe effetti devastanti.

Sono in molti quindi a sperare in un processo di riforma pacifico, a cominciare dalle forze islamiste che temono il precipitarsi degli eventi.

I ministri di Al Azhar, massima autorità religiosa egiziana, hanno severamente condannato i gesti degli uomini che hanno cercato di darsi fuoco e hanno comunicato ufficialmente che per prevenire lo scoppio della rivoluzione “il governo deve abolire lo stato di emergenza - in vigore dal 1981- sciogliere il parlamento, indire elezioni libere e democratiche ed emendare la Costituzione per garantire che le prossime presidenziali siano libere e competitive.”

Anche Mohammed El Baradei, ex segretario generale dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica e possibile sfidante del raís egiziano alle prossime presidenziali, spera in processo pacifico.

“Quanto è accaduto in Tunisia non mi sorprende e dovrebbe servire da lezione alla classe politica egiziana e a quanti in occidente sostengono questo regime.

È ora di implementare riforme economiche e sociali perché qualora le condizioni di vita dei cittadini non dovessero migliorare un’esplosione come quella tunisina è molto probabile” ha detto al britannico The Guardian.

Per evitare che si crei una situazione instabile ed esplosiva come quella tunisina è necessario organizzare la riforma “usando, se possibile, strumenti già presenti all’interno del sistema egiziano, come la petizione per il cambiamento che il mio Movimento per il cambiamento sta portando avanti da mesi”.

Il governo deve mostrare di aver capito i problemi dei cittadini e di volerli risolvere.

“Se continua a mantenere chiuse le porte del cambiamento pacifico - ha concluso - non dovrà sorprendersi nel vedere le scene delle strade tunisine anche da noi. ”

Non tutti condividono questa linea e alcuni attivisti accusano El Baradei di non essere in grado di conquistare le strade. Le prime critiche sono arrivate da Hossam El-Hamalawy, affermato giornalista e blogger dell’opposizione.

“El Baradei vuole un cambiamento pacifico e graduale, qualcosa che non sradichi il regime completamente. Gli egiziani invece hanno richieste più radicali di quelle che lui ha presentato: non vogliono solo un nuovo parlamento ed elezioni democratiche, le loro rivendicazioni riguardano il pane e il burro da portare a casa tutti i giorni.”

Attenti a non fare troppo rumore, diversi gruppi di opposizione hanno organizzato una manifestazione di strada al Cairo per il 25 gennaio. In quell'occasione renderanno pubbliche le loro rivendicazioni.

“Speriamo che sia una manifestazione enorme - ha dichiarato Ahmed Salha, uno degli organizzatori. Non sappiamo se sarà questo il luogo nel quale si produrrà la scintilla necessaria che porterà al rovesciamento del regime, ma mostreremo al mondo intero che siamo pronti a lottare per la nostra democrazia.”

Cosa accadrà dopo il 25 gennaio non é chiaro a nessuno. Nei salotti internazionali il regime, fortemente sostenuto dagli Stati Uniti e da altre potenze occidentali, continua a giocare la carta dell’Islam politico dicendo ai suoi alleati che qualora scoppiasse una rivoluzione sarebbero gli Ikhwan - i Fratelli Musulmani- l’unica forza in grado di andare al potere.

Anche se le istanze islamiste sono decisamente più forti in Egitto che in Tunisia, la rivoluzione del gelsomino ha mostrato che la svolta islamista non è l’unica possibile.

Importante sarà anche l’atteggiamento dell’amministrazione statunitense, che se da una parte sembra aver digerito gli eventi tunisini, dall’altra sa che la battaglia egiziana è di tutt’altra importanza.

L’Egitto è un paese strategico per gli interessi di Washington nella regione, in primis per il ruolo di mediatore che gioca nel processo di pace.

“La presidenza Obama non può pensare nemmeno per un secondo di perdere uno dei suoi più importanti pilastri nella regione - si legge su un editoriale di un giornale di opposizione. Obama non accetterà di vedere l'Egitto passare nelle mani dell’opposizione, soprattutto sapendo che questa include i Fratelli Musulmani.”

La Repubblica
 
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O t t a
view post Posted on 22/1/2011, 00:12




Tariq Ramadan: Ecco perché l'Egitto non sarà una nuova Tunisia
"L'Occidente e Mubarak non permetteranno un'altra rivoluzione"


Roma, 21 gennaio 2011

In Egitto avanza un'ondata di "risentimento", "un movimento di base che vuole mettere fine allo status quo", ma almeno sul breve termine "non ci sarà un'altra Tunisia". Parola di Tariq Ramadan, noto islamologo "europeo, di origini egiziane e religione musulmana" come lui stesso ama definirsi. "In Tunisia abbiamo visto una resistenza e una rivoluzione pacifiche e civili che, a forza di determinazione e sacrifici, sono riuscite a far vacillare la dittatura: tutto ciò potrebbe accadere anche in altri paesi della regione, e amerei vederlo nel mio Egitto" ammette Ramadan, nipote del fondatore dei Fratelli Musulmani Hassan al-Banna.

Secondo lui, tuttavia "questo non succederà, almeno non per il momento: innanzi tutto perché in Egitto c'è un sistema di caste molto chiuso, in cui i politici vengono eletti a vita, e quando decidono di ritirarsi passano il potere ai figli come intende fare il presidente Hosni Mubarak" con l'erede Gamal. Poi c'è la questione delle ingerenze esterne, in un paese dalla posizione "troppo strategica per l'Occidente" nel gioco d'incastri mediorientale, spiega Ramadan in un'intervista a TMNews.

Qualcosa comunque anche in Egitto si sta muovendo: "I partiti islamici e il movimento Kifaya (che in arabo significa "Basta!", chiamato anche Movimento Egiziano per il Cambiamento, ndr) stanno cercando di coinvolgere sempre più settori della società, stanno arrivando ai sindacati, ai movimenti di base. E' un fenomeno che dovrebbe allargarsi, ho sentito di una grande manifestazione in programma per settimana prossima, la gente si dà fuoco in segno di protesta, sanno di non essere una maggioranza, ma stanno lottando" dice l'autore di 'Islam e Libertà' (Einaudi, 2008).

(segue)

Virgilio

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Tariq Ramadan: Ecco perché l'Egitto non sarà una nuova Tunisia-2
A Tunisi è stata una rivoluzione? Spetta all'Occidente deciderlo


Roma, 21 gennaio 2011

In Egitto come in Tunisia pesa l'incognita dei movimenti islamici. A Tunisi, infatti, gli islamisti di Ennahda (Rinascita) sono usciti dalla clandestinità ma non sono stati coinvolti nel governo di transizione. "La vera questione è: chi comanda ora?" suggerisce Tariq Ramadan, perché "i governi occidentali non possono sostenere i valori democratici a parole, e poi pretendere di scegliere chi fa parte di una democrazia e chi no".

Il riferimento, esplicito, è alla Striscia di Gaza: "Non puoi dire ai palestinesi di andare a votare e poi stabilire che non parli con Hamas, che non accetti come interlocutore politico chi è stato eletto dal popolo" sostiene il professore della Oxford University. "C'è la possibilità di una nuova ondata islamista in Maghreb e Medio Oriente? Sì, certo. Ma dobbiamo essere pronti ad ascoltare tutte le forze politiche che accettino di muoversi in un quadro democratico, rispettando lo stato di diritto e rinunciando alla violenza, altrimenti - prosegue Ramadan - non possiamo pretendere che gli arabi abbiano fiducia nella democrazia".

"La democrazia non è solo quello che ci piace" fa notare l'esperto di Islam, che in Tunisia denuncia "pressioni e ingerenze dei governi occidentali" preoccupati che "una situazione come quella di Gaza si ripeta". "Sappiamo già da ora che francesi e americani sono in contatto con il governo tunisino di transizione, ci sono pressioni perché questo o quel soggetto politico venga coinvolto, o escluso dal processo" afferma Ramadan.

"Questo - dice - è il momento delicatissimo in cui quella che potrebbe essere una rivoluzione rischia di limitarsi a una rivolta, in cui ci liberiamo del dittatore e non del sistema". La decisione spetta all'Occidente, che "deve farsi da parte". Nel paese dei gelsomini è in corso "un processo molto delicato": "Troppi governi della regione e troppi governi occidentali hanno paura, non vogliono che i moti tunisini si estendano agli altri paesi - osserva Ramadan - ecco perché gli uomini vicini all'ex dittatore Ben Alì sono ancora in gioco. Ecco perché il governo egiziano, malgrado tutte le fratture interne, per il momento non crollerà".

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O t t a
view post Posted on 22/1/2011, 16:17




Egitto: domani discorso di Mubarak, ma opposizione decisa a manifestare

ultimo aggiornamento: 22 gennaio, ore 13:11

Per '6 Aprile' annuncera' misure contro carovita ma su protesta del 25 gennaio non si torna indietro

Il presidente egiziano Hosni Mubarak terrà domani mattina un discorso alla nazione in diretta televisiva. Lo hanno annunciato i media vicini al governo, spiegando che il discorso sarà incentrato sulla Festa della Polizia, che cade il 25 gennaio. Per l'opposizione, tuttavia, l'insolito anticipo del discorso di Mubarak rispetto alla ricorrenza lascia intuire che il presidente cercherà di scongiurare la manifestazione di protesta che 20 tra partiti e gruppi di attivisti hanno organizzato proprio per il 25 gennaio.

"Sicuramente Mubarak cercherà di calmare la popolazione e forse annuncerà provvedimenti per calmierare i prezzi dei generi alimentari e altre misure economiche", dice ad AKI-ADNKRONOS INTERNATIONAL Ahmad Maher, coordinatore nazionale del Movimento 6 Aprile, tra i promotori della manifestazione organizzata per il 25 sulla scia delle proteste tunisine che hanno portato alla caduta del presidente Zine el-Abidine Ben Ali. "Con le sue promesse cercherà di evitare la manifestazione, ma noi siamo determinati a scendere comunque in piazza", aggiunge.

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view post Posted on 24/1/2011, 15:58




Egitto: domani corteo anti-Mubarak, opposizione promette 'qualcosa di grande'

ultimo aggiornamento: 24 gennaio, ore 13:51

Il Cairo - La manifestazione organizzata per domani al Cairo da partiti e attivisti di opposizione "sara' l'inizio di qualcosa di grande". Mohamed Adel, portavoce del Movimento del 6 Aprile che ha organizzato la protesta, lo ha assicurato al sito di 'al-Masry al-Youm'. A conferma delle sue parole, sono gia' arrivate a 80mila, sulla pagina Facebbok, le conferme di partecipazione al corteo contro il governo del presidente Hosni Mubarak.

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view post Posted on 24/1/2011, 16:10




Egitto: vescovi invitano cristiani a non partecipare a proteste di domani

ultimo aggiornamento: 24 gennaio, ore 08:58

In programma manifestazione contro il governo organizzata da opposizione

- I vescovi ortodossi, cattolici ed anglicani d'Egitto hanno invitato i cristiani del paese a non prendere parte alla manifestazione antigovernativa in programma per domani al Cairo. "Non sappiamo con esattezza chi abbia organizzato queste proteste e con quale obiettivo - ha detto il vescovo Morcos, rappresentante del Santo sinodo copto, citato da da al-Masri al-Youm - Non prenderemo parte ad alcun tentativo di sedizione"

Dello stesso tenore le parole del vescovo Abdel Massieh Bassit, della chiesa della Vergine Maria nel quartiere Mostorod del Cairo. Bassit ha chiesto ai copti di recarsi in chiesa nel giorno delle proteste, pregando per la benedizione divina sul popolo egiziano. Anche il sottosegretario della Chiesa anglicana, Andre Zaki, e il vescovo cattolico Aziz Motran, si sono schierati contro le proteste.

La manifestazione del 25 gennaio, giorno in cui cade la Festa della Polizia, è stata organizzata da una ventina tra partiti e gruppi di attivisti sulla scia di quelle che in Tunisia hanno portato alla caduta del regime del presidente Zine el-Abidine Ben Ali. I manifestanti intendono protestare per il carovita, le condizioni in cui vive la popolazione e le violazioni dei diritti umani attribuite alle forze di sicurezza.

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view post Posted on 24/1/2011, 16:26




24 gennaio 2011

Egitto: la rabbia dentro, aspettando il 25 gennaio

Scritto da Erica Balduzzi

“Il 25 gennaio uscirò per ribellarmi contro la mia vita, non perché la odio ma perché molti egiziani che dovrebbero vivere come me sono invece lasciati a mangiare dai cestini dell’immondizia o a dormire in strada. […] Perché allora andare a protestare martedì prossimo? Perché martedì prossimo gli egiziani conquisteranno le strade di nuovo. Non ci saranno poliziotti, proiettili o manganelli che potranno spaventarci”.

A scrivere queste parole è Sara, ragazza egiziana di 28 anni che sceglie, con una lettera in inglese diffusa sul web e su Facebook, di dare voce al suo paese. Perché la rivolta, dopo Algeria e Tunisia, sembra aver raggiunto anche l’Egitto: il 25 gennaio toccherà ai giovani del paese di Hosni Mubarak – blogger e attivisti, ma non solo – scendere in piazza e gridare al mondo i loro problemi e la loro rabbia.

“Scrivo in inglese – continua Sara – perché non ho ancora sentito i media occidentali parlare della fase bollente che l’Egitto sta attraversando. La rabbia che è stata covata per anni è finalmente venuta alla luce: dove sono ora i corrispondenti stranieri dal Cairo? Probabilmente stanno aspettando […] di vedere cosa succederà il prossimo 25 gennaio. Vedete, noi egiziani non siamo ancora diventati ‘notizia’. Quando siamo picchiati dalla polizia, soltanto allora siamo degni di attenzione”.

La ‘fase bollente’ aveva già avuto possibilità di emergere con la vicenda di Khaled Said, che mentre si trovava in un internet cafè di Alessandria il 7 giugno scorso si rifiutò di esibire i documenti a due poliziotti senza mandato e per questo fu aggredito e ucciso dagli stessi agenti, che poi gettarono il corpo per strada per sottrarsi alla responsabilità dell’accaduto. L’episodio venne però derubricato a fatto di cronaca e la condizione di non-libertà dei cittadini egiziani riportata sotto silenzio: l’Egitto rappresenta infatti uno dei principali interlocutori arabi con l’Occidente, grazie al notevole grado di stabilità rispetto ad altri territori, che ha agevolato investimenti stranieri e turismo, sebbene organizzazioni umanitarie quali Human Rights Watch e Freedom House abbiano più volte criticato le persistenti violazioni dei diritti umani nel Paese.

“Possiamo diventare tutti Khaled Siad in qualunque momento – scrive ancora Sara – torturati e mutilati con la scusa dei controlli della polizia”.

Il riferimento è alla legge 162, la cosiddetta ‘legge d’emergenza’, ripristinata nel 1981 dal presidente Mubarak con lo scopo di difendere il Paese dalle azioni terroristiche dei gruppi armati e mai revocata: di fatto è diventata nient’altro che uno strumento per reprimere ogni voce di dissenso. Grazie a questa legge il Presidente può porre limitazioni rispetto alla libertà di movimento o di riunione, arrestare soggetti sospetti o pericolosi per la sicurezza e l’ordine pubblico, stabilire la censura di articoli giornalistici, documenti, libri e quotidiani prima della loro pubblicazione e autorizzare l’ispezione di persone e luoghi senza sottostare a quanto prevede il Codice di procedura penale – come appunto è accaduto nella vicenda di Khaled Siad .

Una legge che, unita ad una situazione economica molto precaria, ha generato negli anni un clima di malcontento e paralisi, come testimoniano le parole di giovani egiziani sul web: “Siamo esperti a urlare e fare battaglie verbali- scrive ad esempio Ramez sul suo blog – ma quando si tratta del nostro sistema e di combattere per i nostri diritti, abbiamo paura e ci inginocchiamo davanti alla legge e al nostro sistema illegale. Maledetta legge!”.

E sono proprio i giovani, ora, a voler dire basta. La scintilla partita dall’Algeria ed esplosa in Tunisia, unita a condizioni economiche disastrate e alla diffusa disoccupazione, ha fatto scattare anche gli egiziani che, come Sara, hanno deciso di scendere in piazza. Pur sapendo che probabilmente la rivolta sarà pesante e violenta. E pericolosa.

“Ho solo 28 anni. Ho ancora davanti tutta la vita, quindi perché dovrei andare lì e morire? Semplicemente, per chiedere il diritto di essere tratta come un essere umano nel mio stesso paese. Perché la polizia non tratti bene gli stranieri e consideri noi cittadini di seconda classe. Per non temere più che i miei amici e i miei parenti siano fermati da un poliziotto di cattivo umore con il potere di violare i loro diritti civili. Perché le persone non siano più violentate, torturate e picchiate nelle stazioni di polizia. Perché la gente possa vivere una buona vita e non prendere meno di due dollari al giorno. Perché la maggioranza degli egiziani non sia più terrorizzata da un Governo che dovrebbe essere al loro servizio e non viceversa. Perché si possa avere una vera vita politica in Egitto. Martedì prossimo sarà un putiferio. […] Sarà come minimo caotico, ma dobbiamo pur iniziare da qualche parte”.

Il timore è che a capo del movimento di blogger e attivisti possano mettersi i Fratelli Musulmani, gruppo politico intermedio tra il regime di Mubarak e i gruppi estremisti nonché principale motivazione delle limitazioni alla piena libertà dei gruppi di opposizione. Essendo un soggetto con obiettivi politici e religiosi precisi, risulterebbe facile da comprare o reprimere a seconda delle necessità, cosa peraltro già successa in precedenza in fase di elezioni, quando i candidati indipendenti, una volta sconfitti i candidati di regime, venivano inglobati nel partito per garantire la maggioranza a Mubarak. Un rischio, quello di essere strumentalizzati, che pare tutt’altro che remoto.

“Questo movimento, o, come è chiamato dai giovani, rivoluzione, sarà usato dalle potenze politiche, dai movimenti religiosi e da chiunque voglia diventare ‘il nuovo’ in Egitto. Non c’è modo di controllarlo, nessun leader da mandare avanti e nessun partito politico che se ne prenda la responsabilità”.

Infine, nella lettera di Sara, si legge un appello.

“Non ci aspettiamo aiuto dai governi occidentali né ne abbiamo bisogno, ma contiamo sulla vostra potente macchina mediatica per portare alla luce ciò che sta accadendo ora in Egitto, per testimoniare realmente che i movimenti giovanili stanno cercando di fare la differenza. I media hanno il potere di cambiare, le parole possono essere più potenti delle pistole. Ci potete aiutare? Sono arrabbiata!”.

Diritto di critica
 
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530 replies since 10/1/2011, 08:57   5908 views
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