Mal d'Egitto

Elezioni Presidenziali e Legislative

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hayaty
view post Posted on 29/7/2009, 09:09




A proposito della trasmissione ereditaria del potere in Egitto

by Osama Al-Ghazali Harb *
28/07/2009


In Egitto prosegue il dibattito sulla successione al presidente Hosni Mubarak; ma il vero problema del paese è la transizione a un regime democratico - scrive l’analista egiziano Osama Al-Ghazali Harb

La situazione dell’Egitto è oggi “al suo meglio”. Secondo indicatori scientifici oggettivi, nazionali e internazionali, l’Egitto è ancora un Paese arretrato, superato da molti Paesi asiatici, africani e latino-americani che fino a poco tempo fa erano meno sviluppati. Nonostante molti sforzi da parte del governo, i risultati sono infatti ancora modesti.

Ad esempio, il peggioramento del sistema educativo, specialmente negli ultimi due decenni, ha gravemente limitato una risorsa fondamentale per il progresso del Paese. A questo si aggiunge un divario sempre maggiore e senza precedenti tra ricchi e poveri. I milioni di persone che vivono sotto la soglia di povertà nei cimiteri e nei quartieri degradati rappresentano infatti una bomba a orologeria vivente.

Questa situazione è sicuramente da imputare in primo luogo all’attuale regime politico autoritario e non democratico in carica da più di mezzo secolo, che è riuscito a indebolire tutte le istituzioni politiche. Il regime ha di fatto allontanato la maggior parte degli egiziani dalla vita politica, creando una condizione di passività e indifferenza rara nel mondo contemporaneo, perfino nei Paesi meno sviluppati.

Sono convinto del fatto che l’unico modo per migliorare realmente la situazione attuale dell’Egitto sia quello di cambiare il sistema politico e trasformare l’attuale regime autoritario, non-democratico e inefficiente, in un regime effettivamente democratico, trasparente e giusto. Questo è l’obiettivo che dovrebbe accomunare i diversi partiti politici, le ONG e le forze vitali del Paese. Forse gli egiziani sono fortunati perché, per la prima volta da quando è nata la repubblica, la carica di vice presidente è vacante, e nessuno sa chi prenderà il posto del presidente. Questa circostanza fornisce le condizioni che potrebbero favorire il passaggio ad una fase transitoria che prepari la strada ad una vera democrazia, a lungo attesa.

In un contesto politico come questo, che va avanti da diversi anni, e soprattutto con il comitato politico del Partito Democratico Nazionale guidato da Gamal Mubarak, sono aumentate le voci su una possibile successione di Gamal al padre, il presidente Hosni Mubarak. La “trasmissione ereditaria del potere” è diventata una delle questioni più importanti dell’attuale situazione politica dell’Egitto. Invece di concentrarsi su come passare dall’attuale regime autoritario ad un sistema democratico, gli egiziani sono preoccupati di capire se Gamal Mubarak diventerà o meno il nuovo presidente – come, perché e quando.

In mezzo al decadimento di un sistema politico gravato da istituzioni deboli, l’influenza operativa e politica di Gamal Mubarak è cresciuta ben oltre la sua posizione ufficiale. Nonostante abbia attirato solo un numero limitato di ricchi, uomini d’affari, accademici e professionisti vicini alla sua generazione o più giovani, Gamal è divenuto un punto di riferimento per molti opportunisti, che popolano il disonesto ambiente politico del regime egiziano.

Queste persone hanno anche spontaneamente organizzato una campagna per promuovere la successione di Gamal Mubarak alla presidenza, basando i loro argomenti sulle seguenti affermazioni: innanzitutto Mubarak junior ha diritto, come ogni altro egiziano, a concorrere alla presidenza e non deve essere incolpato di essere il figlio del presidente. In secondo luogo, è capace, intelligente, educato e serio. Terzo, è cresciuto nella “casa del presidente” ed è quindi stato formato alla politica sin dai primi anni di vita. Quarto, è già “ricco”, quindi non cercherà di trarre benefici finanziari dalla sua posizione, come farebbe chiunque altro. Quinto, è un civile e la sua nomina metterebbe fine a mezzo secolo di governo militare del Paese; e sesto, è l’unico candidato che vale la pena considerare.

Tuttavia nessuna di queste motivazioni ha a che fare con i problemi attuali dell’Egitto o con gli obiettivi degli egiziani. L’Egitto non sta cercando un presidente o una persona in grado di prendere in mano la presidenza della repubblica. Questa è una formula ingenua e irrilevante; perfino umiliante per tutti gli egiziani. Senza alcun dubbio l’Egitto ha centinaia di migliaia di uomini qualificati, anche migliori di Mubarak, per guidare il Paese. Le sue qualifiche non sono superiori a quelle di centinaia di migliaia di giovani egiziani della sua età.

L’Egitto ha invece bisogno di un “nuovo ordine”, di un sistema realmente democratico, come la maggioranza di quelli del resto del mondo. Ha bisogno di un sistema in cui candidati qualificati possano partecipare ad una competizione elettorale ed il popolo possa scegliere il migliore attraverso elezioni libere ed imparziali.

Questo è il punto fondamentale della mia contestazione al sistema della trasmissione ereditaria del potere. Questo sistema è un crimine contro la popolazione egiziana, e coloro che lo sostengono devono essere ritenuti colpevoli. Questo tipo di successione al potere rafforza solamente lo status quo corrotto e autoritario del regime politico egiziano. Il primo passo in questa direzione è stato il vergognoso emendamento all’articolo 76 della Costituzione, pensato e formulato per dare al Partito Democratico Nazionale (NDP) l’accesso quasi esclusivo alla candidatura presidenziale.

Il sistema della “successione” può funzionare solo con i meccanismi dell’attuale sistema elettorale, in vigore sin dagli anni ’50, e attraverso il quale gli organi esecutivi e della sicurezza controllano il cosiddetto processo elettorale. Anche questo aspetto ha bisogno di un cambiamento radicale.

In questo contesto, il termine “cospirazione” sarebbe probabilmente più appropriato per descrivere il processo della successione. L’NDP, o meglio, i circoli al suo interno che appoggiano Gamal Mubarak per la candidatura alla presidenza, sono senza logica e si comportano come un partito segreto. Non ci vuole molto per capire che molte decisioni e azioni che riguardano il sistema elettorale, le circoscrizioni, le possibilità di uno scioglimento del parlamento, ecc., sono prese dietro le quinte per servire il complotto per la successione, non l’interesse pubblico.

La domanda è: il sistema della successione funzionerà? Io non credo proprio, per diverse ragioni.

Primo, il presidente Mubarak rimarrà in carica a vita. Questa è una delle lezioni che ci hanno insegnato per più di mezzo secolo i regimi successivi alla Rivoluzione del luglio 1952. I suoi predecessori, Nasser e Sadat, hanno tenuto il loro incarico fino alla loro morte. L’unico presidente che ha lasciato (o più precisamente che fu costretto a lasciare) la presidenza è stato il generale Mohamed Naguib, il cui caso probabilmente non si ripeterà.

Inoltre, il prudente e astuto carattere di Mubarak gli permetterà di restare in carica “fino a che il suo cuore continuerà a battere”, come lui stesso ha confermato in un discorso alla nazione.

Secondo, mettendo da parte tutti gli altri aspetti e facendo semplicemente un confronto tra la popolarità del presidente Mubarak e quella di suo figlio Gamal, ci si accorge che non c’è paragone tra i due. Il presidente Mubarak, veniva da una classe media rurale, con una vita semplice e faticosa alle spalle e un’esperienza nelle forze armate; questo lo ha reso vicino al cuore degli egiziani, in un modo che al figlio è precluso.

Non c’è dubbio sul fatto che l’aspetto della popolarità non può essere tralasciato, neanche in un regime autoritario e non democratico come l’Egitto.

Terzo, in Egitto la base della forza e della legittimità politica dal 1952 fino ad oggi è stata rappresentata dalle forze armate nazionali. I quattro leader dell’Egitto dell’era repubblicana (Naguib, Nasser, Sadat e Mubarak) sono stati tutti ufficiali militari. Questa situazione ad oggi non è cambiata, per le pratiche stesse del regime della Rivoluzione di Luglio, che è fallita, o forse deliberatamente non ha voluto formare attori politici civili. Per questo motivo, potrà esserci un presidente che non proviene dalle forze armate solo dopo un periodo di transizione che permetta di ricostruire le istituzioni politiche ed i partiti politici. In questo contesto è difficile immaginare che i militari possano dare legittimità e promettere fedeltà ad un civile. La caratteristica principale di Gamal è quella di essere il figlio del presidente.

Quarto, il potere di Gamal Mubarak si basa sull’appoggio di alcuni settori dell’NDP, uomini d’affari ed alcuni rappresentanti di organi di governo e della sicurezza, legati a lui dal fatto che è “il figlio del Presidente”. Non appena questa situazione verrà meno, scomparirà immediatamente anche la sua influenza. Se alcuni aspetti di essa persisteranno, sarà solo per motivi meramente opportunistici che non possono resistere ad alcuna sfida reale.

Queste sono alcune delle ragioni per cui credo che il sistema della successione ereditaria al potere fallirà. Quello che ora è importante per gli egiziani, e per l’elite politica, è costruire un sistema veramente democratico sulle rovine di un regime corroso e consumato.


* Osama Al-Ghazali Harb è un analista politico egiziano; è direttore della rivista di politica internazionale Al Siyassa Al Dawliya, pubblicata dalla Fondazione Al-Ahram


Med Arab News

 
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hayaty
view post Posted on 14/10/2009, 15:28




Egitto: nessuna democratizzazione nella successione a Mubarak

Il Presidente Hosni Mubarak, nato nel 1928, governa l’Egitto dal 1981. Il suo mandato scadrà nel 2011 e le prossime presidenziali saranno a settembre. In molti ritengono che vorrà governare per un altro quinquennio, fino al 2016, per poi cedere il potere al figlio Gamal nel 2017. Il Presidente, però, non sembra avere più la forza di un tempo e i recenti episodi di politica interna farebbero pensare a una successione in tempi più brevi, soprattutto considerando che non ha mai nominato un vice presidente. Nel momento in cui Mubarak dovesse cedere il potere si aprirebbero due questioni. Da un lato, la corsa alla Presidenza, che vedrebbe contrapposti due personaggi di spicco della vita politica egiziana: Gamal Mubarak, figlio dell’attuale Presidente e il Generale Omar Suleiman. Dall’altro vi sarebbe la formazione di un nuovo Parlamento, ma non si ravvedono motivi per intravedere la possibilità di un nuovo percorso in senso più democratico. I gruppi all’opposizione non sono ancora in grado di presentare un fronte coeso che possa contrastare quello che nel tempo si è gradualmente imposto come un partito unico, il Partito Nazionale Democratico di Mubarak (NDP).

Antonio Buttitta

14 ottobre 2009



Un’opposizione inefficace

La continua frammentazione dell’opposizione è una delle cause principali della persistenza dell’autoritarismo in Egitto. La svolta può essere data solo da una coesione effettiva tra il fronte islamico e quello non islamico, o secolare, all’interno dell’opposizione per poi dare vita alle riforme in senso democratico. D'altro canto, si teme che un’apertura verso la democratizzazione del sistema politico del Paese possa portare a una vittoria del fronte islamico. In particolare alcuni temono che i Fratelli Musulmani, il gruppo più forte e meglio organizzato dell’opposizione, possano sostituire un sistema non democratico con un altro altrettanto autoritario e di stampo islamista. All’interno dell’opposizione egiziana, negli ultimi anni, sono stati fatti diversi tentativi per costituire un’opposizione coesa, ma questi tentativi si sono rivelati fallimentari. Una ragione alla base di tali insuccessi potrebbe essere l’asimmetria tra i componenti di questa compagine politica. Oggi la capacità organizzativa della Fratellanza Musulmana supera quella degli altri gruppi all’opposizione ed i partiti secolari si sono indeboliti dagli anni ’80 anche per la loro incapacità di fare presa sulle masse con programmi alternativi. Gli accordi tra gruppi sono spesso stati negoziati a livello di vertice, e la base ha avuto poco peso. La credibilità, inoltre, di questi gruppi e delle loro alleanze, è scarsa, in quanto sono stati utili per manovre diversive di breve periodo, ma non hanno saputo spesso dare un indirizzo continuativo all’accordo attraverso l’attuazione di una visione unitaria del futuro comune.

Questo stato di cose ha portato, in tempi recenti, alla ricerca di una coalizione che vada oltre le divisioni ideologiche. Ciò detto, è da notare come la presenza di vecchi leaders nell’opposizione abbia reso difficile la collaborazione tra i gruppi e, inoltre, non bisogna dimenticare che il governo ha voluto porre dei freni agli ingranaggi politico-legali, in modo da rallentare la nascita di un’alternativa al principale partito di Mubarak e affinché i Fratelli Musulmani non riescano a migliorare il loro risultato nelle prossime elezioni parlamentari del novembre 2010. La cooperazione all’interno dell’opposizione, quindi, resterà inefficace finché non si scatenerà una contestazione politica vera e propria. Il governo ostacola il coordinamento in modo da creare un'opposizione spezzata. In questo modo il NDP resta solido al potere e si impedisce una vera democratizzazione.

Una volta apertasi la questione della successione, comunque, la situazione di vuoto nella politica egiziana sarebbe un canale ideale per i gruppi islamici più radicali, qualora le forze più moderate non riuscissero a inserirsi nel futuro politico egiziano. Dall’altro lato in seguito al cambio di Presidenza si avrebbe una necessaria ricomposizione del Parlamento, ma l’opposizione non è coesa e al suo interno vede contrapposte l’ideologia islamica e quella secolare. Mentre secondo alcuni il concetto stesso di governo in Egitto non può essere scisso dal concetto di Islam, sebbene quest’ultimo possa, con qualche forzatura, separarsi dal concetto di Stato, secondo altri il secolarismo avrebbe, invece, una forte attinenza con l’Egitto, in quanto buona parte del popolo rifiuterebbe il ruolo della religione nello Stato. I cosiddetti secolari sarebbero diversi gruppi di nazionalisti, socialisti e liberali che però divergono su numerose questioni, nonostante la loro comune avversione contro il fronte islamico. Essi vedono il successo degli islamisti come una sconfitta per la democratizzazione e insistono sul punto che non deve esservi contatto tra lo Stato, e quindi politica e partiti politici, e la religione, sostenendo che molti egiziani sentono questa dicotomia. In questa disputa si inserisce il ruolo del maggiore movimento all’opposizione, la Fratellanza Musulmana (che ufficialmente non può costituirsi in un vero e proprio partito politico), accusata da alcuni di voler istituire uno Stato islamico governato attraverso la legge islamica e non attraverso il rule of law.


Il Partito Nazionale Democratico

Il NDP ha ormai le caratteristiche di un partito unico in uno Stato autoritario. Gli altri partiti nel 2005 hanno vinto pochi seggi in Parlamento, soprattutto a causa dell’azione dello stesso NDP. Tra i provvedimenti volti a ostacolare gli altri concorrenti vi sono sia misure dirette, quali gli arresti di alcuni attivisti, sia misure indirette, come l’aumento dei seggi assegnati sulla base di liste di partito, escludendo così la Fratellanza sulla base del fatto che non è un partito ufficialmente riconosciuto. L’intento della maggioranza sembra quello di interferire con le attività dei Fratelli Musulmani per impedire un maggiore potere proprio nel momento di una prossima eventuale successione. I media parlano anche della volontà di Mubarak di sciogliere il Parlamento. Questa manovra sarebbe attuata attraverso un decreto presidenziale appoggiato da alcuni membri del NDP in modo da attuare una legislatura più sicura prima che la questione della successione possa esplodere.


La Fratellanza Musulmana

Il gruppo islamico dei Fratelli Musulmani è bandito dalla Costituzione, in quanto i partiti non possono formarsi sulla base di ideologie religiose e infatti non è mai stato riconosciuto come un partito, ma porta avanti una varietà di attività religiose, politiche, e sociali in modo aperto. I suoi membri sono candidati come candidati indipendenti nel Parlamento egiziano e costituiscono il blocco maggiore dell’opposizione contro il governo di Mubarak. La Fratellanza dichiara di vedere la democrazia come la migliore forma di governo per l’Egitto, e il pluralismo e la libertà di espressione sarebbero i canali migliori per lo sviluppo della società. L’azione della Fratellanza, però, nel tempo ha contribuito alla formazione di un clima di sfiducia tra la Fratellanza stessa e gli altri gruppi non di ispirazione islamica, i quali temono che le aperture moderate dei Fratelli Musulmani nascondano intenzioni antidemocratiche. Sarebbe proprio la struttura stessa del movimento, che si regge su una gerarchia molto rigida in cui i livelli di base non possono interagire con il comando all’apice, ad insinuare dubbi sulla sua effettiva democraticità. Inoltre, secondo i secolari, i Fratelli Musulmani sono una minaccia da contenere, considerando la scarsa trasparenza del loro operato e la poca chiarezza del messaggio politico. La distanza ideologica tra islamisti e non islamisti non sembra poter essere colmata. La conseguenza della sfiducia è l’impossibilità di una cooperazione all’interno dell’opposizione.


La nuova Presidenza egiziana

I probabili, oltre che più forti, candidati alla Presidenza sembrano essere due: il primo potrebbe essere Gamal, il secondo figlio di Mubarak, attivo nel Partito del padre. Gamal Mubarak è la figura di spicco nel NPD come capo delle politiche e assistente Segretario Generale, ed è molto probabile che sarà candidato dal partito nelle elezioni del 2010, anche se dichiara di non voler diventare presidente. Inoltre è fautore di politiche economiche liberali e potrebbe appoggiare delle riforme economiche. E’ un ex investment banker, e ama circondarsi degli egiziani appartenenti alle fasce più ricche. Ha ottenuto il supporto della classe imprenditoriale per la promozione dell’economia dal 2004. Secondo alcuni, però, il giovane Mubarak manca di tatto negli incontri pubblici e una sua eventuale successione al padre non sarebbe accettata da molti egiziani e dalle Forze Armate (che hanno sostenuto il regime fin dai tempi del periodo dei Liberi Ufficiali): se Hosni Mubarak venisse a mancare, infatti, il vuoto politico che si creerebbe potrebbe essere riempito proprio dall'influente classe militare.

L’alternativa sarebbe il capo dei servizi segreti dal 1991, il Generale Omar Suleiman, nato nel 1936. L’ascesa del Generale Suleiman, con un colpo costituzionale, potrebbe portare a quello che non è stato realizzato da Mubarak, cioè una transizione verso un Egitto più democratico. In realtà anche i rapporti tra Suleiman e l’Esercito non sono chiari e in un sistema che ostacola i partiti all’opposizione, un’elezione potrebbe essere una formalità, anche se non è ancora possibile dire con certezza quali saranno le scelte messe in atto dalla classe militare.


Conclusione

Non sembra che vi siano gli estremi, oggi, per prevedere la formazione di una forte e coesa opposizione che possa promuovere un serio cammino verso la democratizzazione del Paese dopo essere stabilmente salita al potere. Se alla Presidenza i candidati sono il figlio del leader e un generale proveniente dall’enclave militare, e se i candidati del maggiore gruppo all’opposizione, i Fratelli Musulmani, sono impossibilitati alla partecipazione, allora è molto probabile che una Presidenza di “vecchio stampo” possa tenere sotto il suo giogo l’intero sistema politico. Di conseguenza l’influenza del Presidente, chiunque esso sia, sulla composizione parlamentare sarebbe tale da escludere una reale apertura dell’Egitto verso un processo di democratizzazione propriamente detto, che esca dagli schemi formali e si concretizzi in qualcosa di più concreto.

Allo stesso tempo le dispute interne all’opposizione, di ordine teorico, ma con riflessi sostanziali sulla realtà dell’azione politica, fanno sì che il partito al potere resti quasi incontrastato e inoltre diffondono tra la popolazione un sentimento di generale sfiducia verso la Fratellanza Musulmana, che non può arrivare alla leadership da sola. Questo gruppo di ispirazione islamica si alimenta e vive secondo delle logiche non propriamente democratiche e, sebbene possa sembrare l’unica forza in grado di poter sfidare il NDP, non applica nell’attuazione delle sue linee politiche e nelle sue strutture di base una vera democraticità. La mancanza sistemica della democraticità nel singolo gruppo, come nell’intero apparato di governo, lascia allora l’Egitto in una posizione di arretratezza rispetto alle manovre che sono richieste per un cambiamento effettivo.


Equilibri
 
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ARNAP
view post Posted on 21/10/2009, 19:40




Egitto: Amr Moussa lascia la porta aperta a un'eventuale candidatura alla presidenza


Il Cairo, 21 ottobre 2009 - Il segretario generale della Lega araba ed ex ministro degli Esteri egiziano Amr Moussa non ha escluso, in un'intervista concessa al quotidiano Shorouq, di candidarsi per le elezioni presidenziali egiziane del 2011.

Moussa si è detto orgoglioso della simpatia che gli è stata espressa da diversi connazionali, parlando dell'eventualità di una sua candidatura. Ha aggiunto che tra i possibili candidati c'è anche il figlio di Hosni Mubarak, Gamal.

Moussa ha oggi 73 anni. Gamal Mubarak ne ha 45. Il presidente in carica Hosni Mubarak, 81 anni, non si è espresso su una sua eventuale ricandidatura.


Arab monitor
 
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hayaty
view post Posted on 1/11/2009, 16:36




In Egitto è cominciata, in silenzio, la gara alla successione di Mubarak

31/10/09 19:41


Successore di Mubarak, cercasi. Il presidente egiziano, 81 anni, al vertice dello Stato da 28, non ha rinunciato ufficialmente a candidarsi alle elezioni del 2011. Eppure da piu’ parti si ritiene che potrebbe farsi da parte. Il mandato dura 6 anni.

La questione non è in agenda al congresso dello schieramento di Mubarak, il Partito Nazionale Democratico, cominciato sabato: ma dietro le quinte è un argomento ricorrente.

Il presidente in carica, amico dell’occidente e mediatore nel difficile scenario mediorientale, non è certo disposto a sparire dalla scena politica: il nome di suo figlio, Gamal, 45 anni, sembra il piu’ accreditato per un’eventuale successione.

E la cosa non piace all’opposizione, in particolare al leader Ayman Nour, del partito liberale Domani. All’inizio di ottobre, Nour ha lanciato una campagna contro la candidatura di Gamal Mubarak, contestando la concezione nepotistica del mandato presidenziale


Euronews
 
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ARNAP
view post Posted on 6/11/2009, 16:24




Egitto/ El Baradei: Se elezioni libere mi candido presidente

6.11.2009

Il segretario generale dell'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica, 'Aiea', giunto alla fine del suo mandato non esclude di candidarsi alle elezioni presidenziali egiziane che si terranno nel 2011. Lo ha lasciato intendere in un intervista rilasciata alla CNN come riporta stamane il quotidiano libanese, ASsafir. Interpellato dal canale news satellitare americano sui 12 anni di impegno di lavoro all'Aiea che terminerà questo mese, El Baradei, ha detto che è stato "impegnativo". Ma alla domanda se intende diventare presidente dell'Egitto, El Baradei che è cittadino egiziano, si è messo a ridere affermando: "mi candiderei alle elezioni presidenziali soltanto se saranno libere e trasparenti".

Virgilio
 
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ARNAP
view post Posted on 30/11/2009, 12:23




Egitto, l'era dei faraoni

Lunedì 30 Novembre 2009


Mancano meno di due anni alle elezioni presidenziali egiziane, alla scadenza di un mandato che dura ininterrottamente dal 14 ottobre 1981, da quando l’ex ufficiale dell’aeronautica militare egiziana, Hosni Mubarak, prese il posto di Anwar al-Sadat, assassinato pochi giorni prima durante la sfilata commemorativa del conflitto arabo-israeliano del 1973.

Il 31 ottobre scorso, durante il discordo di apertura del VI Congresso del Partito Nazionale Democratico (Pnd),il rais avrebbe dovuto ufficializzare la sua uscita di scena, consacrare quello che può essere definito come “un caso di democrazia ereditaria” ed annunciare la nomina a candidato presidente del figlio Gamal. Ma non è andata così. La questione, che molti davano per scontata, non era in agenda e, nonostante Mubarak abbia accuratamente evitato ogni riferimenti ad una sua ricandidatura, dietro le quinte si è tornati a parlare di quinto mandato e di un “faraone” pronto a governare fino al 2016.

Senza fare alcun accenno alla sistematica violazione dei diritti umani e alla povertà che stritola sempre più egiziani, Mubarak ha lodato le riforme economiche avviate dal suo governo ed ha parlato di elezioni legislative, di democrazia e di libertà. Crescita demografica, sviluppo sociale, infrastrutture, agricoltura e sicurezza energetica come elemento base per la costruzione del futuro: questi i temi affrontati dal presidente egiziano che ha ribadito l'intenzione di rilanciare i programmi congelati negli anni ottanta e dare il via alla realizzazione di diversi impianti per la produzione di energia nucleare. Un discorso rivolto al futuro quindi, che lascia intravedere una successione lenta e indolore e che assicura un Paese stabile e fedele agli schemi imposti da Washington agli alleati mediorientali.

Con i suoi 81 anni il presidente però non sembra più avere lo stesso smalto di un tempo ed alcuni recenti episodi di politica interna lasciano spazio a nuove e diverse ipotesi, supposizioni che non possono non tenere in considerazione il fatto che in Egitto il Partito Nazionale Democratico di Mubarak è una forza egemone e che la pressioni sui suoi principali rivali, i Fratelli Musulmani, non permette la costruzione di un’opposizione in grado di sostenere una valida alternativa alla politica del compiacimento imposta dagli Usa.

Che qualche cosa bolla in pentola però è sicuro: sopravvissuto ad almeno sei attentati, Mubarak sta diventando sempre più invisibile, presente solo nei numerosi cartelloni che affollano la capitale e negli slogan che parlano di leadership, transizione e futuro; quasi a voler alimentare la domanda che molti egiziani si pongono: quale domani?

Per il momento le possibilità che il popolo del Nilo imbocchi un percorso più democratico sono piuttosto scarse, soprattutto perché il presidente egiziano non sembra disposto a lasciare la scena senza prima aver definito chi governerà il Paese nei prossimi decenni. Puntando sulle nuove leve, l’amico dell’Occidente non lascia adito a dubbi e indica nel figlio l’unico possibile erede: “Con i suoi giovani, i suoi intellettuali, i suoi quadri e le sue strutture, il partito ha una visione chiara del futuro e propone un progetto che tiene conto delle nuove realtà egiziane”. Oltre a quello di Gamal, attuale segretario dell'ufficio politico del Pnd, i nomi più ricorrenti alla successione sono tre: il Segretario della Lega araba, Amr Musa; il direttore generale dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica (Aiea), Mohammed ElBaradei; il capo dell’Egyptian general intelligence services (Egis), il generale Omar Suleiman.

Il settantatreenne Musa è sicuramente il meno quotato: ambasciatore egiziano alle Nazioni Unite e ministro degli Esteri nel governo Atef Sedki, è inviso a Washington per le sue posizioni nei confronti dell’occupazione israeliana in Cisgiordania e sulla politica Americana in Medio Oriente. Stessa cosa per il Premio Nobel per la pace, Mohammed El Baradei, che pur avendo una grande esperienza internazionale - ha iniziato la sua carriera al ministero degli Esteri del Cairo e prima di essere nominato direttore dell’Aiea ha lavorato a lungo nelle missioni permanenti egiziane a New York e Ginevra - non sembra in grado di affrontare i problemi di politica interna e potrebbe pagare quello che l’occidente ed Israele ha spesso definito come “un approccio troppo soft nei confronti dei piani nucleari dell’Iran”.

Omar Suleiman è quello che sicuramente vanta più credito: un presidente di transizione in grado di garantire solidità al regime e disponibile a collaborare con Israele nella guerra contro Hamas; un militare che Washington considera come il miglior capo dei servizi segreti mediorientali e famoso per aver imposto a Mubarak la limousine che lo avrebbe salvato da un attentato avvenuto ad Addis Abeba nel 1995.

In Egitto i militari conquistarono il potere il 23 luglio 1952, con il colpo di Stato dei Liberi Ufficiali del generale Muhammad Neghib e del colonnello Gamal Abd al-Nasser. Ad iniziare il processo di allontanamento delle Forze armate dalla politica fu Anwar al-Sadat, un percorso che Mubarak intensificherà e sul quale punterà per epurare tutti coloro che verranno ritenuti infiltrati o sospetti islamisti. Nonostante questo, per oltre mezzo secolo l’esercito è stato a fianco dei sui presidenti, tutti ex militari che nelle Forze armate hanno trovato la sponda per instaurare un potere quasi assoluto.

Negli ultimi anni però questo rapporto si è incrinato, non tanto con i vertici che, lusingati dai privilegi economici, hanno deciso di prendere le distanze dalla vita politica, quanto con la base, frustrata da un regime che alla Difesa ha preferito il Ministero degli Interni e la polizia, l’organo che più di ogni altro ha guadagnato potere e benefici. Per indebolire ulteriormente il peso dei militari, nel 2007 il Partito Nazionale Democratico ha costituito un Consiglio Supremo, un organo politico all’interno del quale dovrebbe essere scelto il candidato per le prossime presidenziali, una scelta bocciata anche dagli ex-ufficiali che oggi ricoprono incarichi di prestigio nell’amministrazione pubblica e da tutti coloro che in un Paese a “partito unico” (il Pnd detiene il 68,5% dei seggi) non condividono questa forma di nepotismo politico.

Con Mubarak le leggi d’emergenza sono state rimpiazzate da quelle anti-terrorismo e molti poteri sono passati nelle mani delle forze di sicurezza che negli anni Novanta il regime ha usato per debellare le organizzazioni dei militanti islamici e che oggi impiega per colpire i suoi principali nemici, i Fratelli Musulmani. Ufficialmente fuorilegge, il movimento da Mohammed Mahdi Akef è infatti ritenuto più pericoloso degli stessi jihadisti che, nonostante gli attentati e gli attacchi terroristici, possono sempre contare sulla benevolenza del rais.

Il peso politico è notevole e nonostante le divisioni interne c’è chi giura che sia in crescita: alle legislative del dicembre 2005 i deputati indipendenti eletti sono stati 88, tutti riconducibili al movimento fondato nel marzo 1928 dall’insegnate egiziano al-Hasan al-Banna; una vittoria che equivale al 20% dei 454 seggi totali e che fa dell’organizzazione islamica, che ha sposato la causa delle classi in difficoltà, il secondo soggetto politico del Paese.

Per i Fratelli musulmani, che pur non avendo alcun interesse per il potere puntano comunque a trasformare l’Egitto in una democrazia islamica, l’elezione di Gemal potrebbe rappresentare un’occasione unica, la svolta che molti giovani attendono da tempo. In cambio dell’appoggio elettorale, figlio del rais, primo presidente proveniente dalla società civile dopo oltre mezzo secolo di democrazia con le stellette, potrebbe concedere una contropartita politica: la garanzia di uscire dall’ombra e tornare nuovamente a correre ufficialmente per le elezioni parlamentari.

Un rischio che per ora Hosni Mubarak non vuol correre, soprattutto pensando al fatto che una volta in parlamento la Fratellanza potrebbe raddoppiare il numero di consensi, cosa non nuova visti i successi di Hezbollah ed Hamas, e nell’arco di poche legislature condizionare un sistema politico che Washington considera tra i più affidabili del mediorientale.

Altre notizie
 
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ARNAP
view post Posted on 4/12/2009, 16:18




EGITTO: ELBARADEI, CONDIZIONI PER CANDIDARSI A PRESIDENZIALI


IL CAIRO, 4 dicembre 2009 - Mohamed ElBaradei ha annunciato la sua disponibilita' a candidarsi alle prossime elezioni presidenziali in Egitto, subordinando, pero', questa decisione ad una serie di condizioni, che riguardano anche modifiche alla Costituzione. Secondo i quotidiani egiziani (in particolare Al Masri el Yom), l'ex segretario generale dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica ha chiesto che sulle elezioni vegli un comitato indipendente e che le operazioni di voto siano supervisionate dall'ordine giudiziario e da organismi internazionali. In un comunicato pubblicato sul quotidiano indipendente Al Masri al Yom, Baradei chiede in particolare la formazione di una commissione nazionale indipendente e neutra che assicuri la trasparenza delle operazioni elettorali; la supervisione del voto da parte della magistratura; la presenza di osservatori internazionali dell'Onu; la 'purificazione' delle liste elettorali, vale a dire in particolare la cancellazione di persone gia' decedute dall'elenco dei votanti; l'assegnazione nei mezzi di informazione di spazi uguali per tutti i candidati che vogliono presentare le loro idee ed i programmi. Queste garanzie, secondo ElBaradei, sono importanti al fine di assicurare l'autenticita' delle elezioni ed evidenziare in modo chiaro al mondo intero che in Egitto e' in atto un vero processo di riforma. Ma se decidera' di candidarsi a presidente - dice ancora l'ex segretario generale dell'Aiea (che ha concluso pochi giorni fa il suo mandato) - lo fara' in risposta ad una domanda della larga maggioranza dei cittadini, siano essi aderenti a partiti o indipendenti. Quanto alla riforma costituzionale da lui proposta, deve assicurare, dice, la liberta' ed i diritti umani per tutti. Deve, inoltre, garantire un equilibrio preciso ad un controllo reciproco tra poteri legislativo, giudiziario ed esecutivo. La nuova costituzione, ha aggiunto, deve assicurare la partecipazione di tutte le classi e categorie sociali al processo democratico. E tutti devono partecipare - conclude ElBaradei osservando che non bisogna preoccuparsi ora del passato - alla creazione di una societa' caratterizzata dalla liberta' di espressione e di fede ed al rispetto delle minoranze.

Ansa Med
 
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ARNAP
view post Posted on 19/2/2010, 21:13




EGITTO: BARADEI ACCOLTO COME UN EROE, MUBARAK TEME "L'ONDA VERDE"


Il Cairo, 19 febbraio 2010 - La speranza di una vera democrazia in Egitto viaggia sul volo 863 dell'Austrian Airways, proveniente da Vienna. Nella capitale egiziana e' sbarcato Mohammed ElBaradei, premio nobel per la Pace, ex capo di quell'Agenzia internazionale per l'energia atomica al quale il tempo ha dato ragione nel braccio di ferro con George W. Bush quando si valutava l'esistenza di armi di distruzione di massa in Iraq. Oggi e' lui l'uomo piu' temuto dal presidente Hosni Mubarak.
Forte di un'immagine anti-americana, ma non anti-occidentale; di una costante attenzione al legame con gli strati sociali piu' poveri della propria patria -alimentato donando, ad esempio, i soldi del premio Nobel ai poveri degli slum egiziani; immune dalla corruzione che pervade i centri di potere del Cairo, ElBaradei e' pronto per la politica: "Quando sento tanta gente che mi chiede di con forza di partecipare", ha affermato in un'intervista rilasciata all'egiziano "Al Masri al Youm", "l'unica cosa che io possa fare e' rispondere. Non ho problemi ad assumere responsabilita' nell'interesse del popolo e senza curarmi del mio sacrificio personale. Il 42 per cento degli egiziani vive con meno di un dollaro al giorno, il 20 oper cento e' analfabeta e siamo al 123esimo posto nelle classifica mondiale dello sviluppo". "Saro' sempre a fianco egiziani che chiedono il cambiamento", ha continuato, "sono pronto a entrare in politica se avremo elezioni giuste e sara' aperta la porta per me e altri che vorranno partecipare". Il riferimento del diplomatico, amatissimo tra la gioventu' egiziana, e' alle presidenziali del 2011, per le quali Hosni Mubarak, starebbe preparando il figlio Gamal. La costituzione ammette solo i candidati segnalati dal Parlamento e dai consigli municipali, tutte istituzioni in cui domina incontrastato il Partito democratico nazionale di Mubarak.
Figlio di un avvocato che sostenne un duro confronto sui diritti umani con Gamal Abdel Nasser, partito dal Cairo ventisette anni fa alla volta del Palazzo di Vetro dell'ONU, ElBaradei e' tornato in patria come un "eroe", secondo al Jazira. Ad accoglierlo in aeroporto c'erano migliaia di persone, che hanno sfidato il divieto di manifestazioni illegali emesso dal governo. Un giornale dell'opposizione aveva anche fatto stampare sul proprio foglio l'orario di arrivo del premio Nobel sotto il titolo "Baradei ritorna". In suo favore si era speso nei giorni scorsi anche lo scrittore Ala-al-Aswani, autore di "Palazzo Yacoubian" e di Chicago (editi in Italia d Feltrinelli): "Se vuoi che i tuoi bambini vivano in un paese che rispetta i loro diritti. Dove le persone siano trattate egualmente e godano di pari opportunita'. Se vuoi il cambiamento e le riforme in Egitto. Vieni con noi all'aeroporto del Cairo a salutare, l'arrivo del Dr. Muhammad ElBaradei. La democrazia e' la soluzione".

Agi
 
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hayaty
view post Posted on 23/2/2010, 15:06




Egitto: Presidenziali, ElBaradei è pronto a sfidare Mubarak
Ma la Costituzione pone enormi ostacoli


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Il Cairo, 23 feb.
- L'ex capo dell'Agenzia internazionale dell'energia atomica (Aiea), Mohammed ElBaradei, è "pronto a candidarsi" alle presidenziali del 2011 anche contro il capo dello Stato Hosni Mubarak. "Poco importa chi si dovesse presentare contro di me alle elezioni, sono pronto a candidarmi alle presidenziali, se il popolo me lo chiede", ha dichiarato intervistato dall'emittente Dream Tv. Mubarak non sarebbe sicuro di vincere se lo scrutinio fosse libero, ha proseguito l'ex numero uno dell'agenzia dell'Onu, rinnovando le sue critiche contro la corruzione e la povertà e affermando che tutti gli egiziani dovrebbero avere accesso ai servizi sanitari e a una buona istruzione. ElBaradei, 67 anni, ha lanciato diversi appelli negli ultimi mesi ad una democratizzazione del governo del presidente Hosni Mubarak, alla guida del Paese da 29 anni. L'ex direttore generale dell'Aiea è stato accolto da centinaia di fan al suo ritorno al Cairo venerdì. Ma una candidatura di ElBaradei attualmente è bloccata dalla Costituzione, che impone ai candidati indipendenti di ottenere l'appoggio di 250 membri elettivi, di cui almeno 65 deputati dell'Assemblea nazionale, 25 del Consiglio consultivo (Senato) e sei consiglieri municipali. E il Parlamento e i consigli municipali sono dominati dal partito al governo, il Partito nazionale democratico (Pnd). "Che uno come me non possa presentarsi alle presidenziali, è un disastro. Come può una Costituzione impedire al 99% delle persone di candidarsi?", si è chiesto in questa intervista alcuni stralci della quale sono stati pubblicati dal quotidiano indipendente al Masri al Yom. I media ufficiali e dei membri del Pnd hanno lanciato una violenta campagna contro Elbaradei, presentandolo come estraneo al suo Paese, incapace di gestire gli affari interni e come un fattore di instabilità per l'Egitto. Hosni Mubarak nel 2011 completa il suo quinto mandato di sei anni. Il figlio Gamal, 44 anni, è frequentemente citato come suo probabile successore.


APCOM
 
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ARNAP
view post Posted on 28/2/2010, 14:06




M.O./ Egitto, ElBaradei: senza riforme rischio sollevazioni

Ex Direttore generale Aiea varerà movimento riforme elettorali



Il Cairo, 27 febbraio 2010 - L'Egitto rischia una sollevazione popolare se il governo del presidente Hosni Mubarak - al potere da trent'anni - non ascolterà le richieste di una riforma pacifica: lo ha affermato Mohammed ElBaradei, ex Direttore generale dell'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica e possibile candidato alle presidenziali egiziane.

"Il cambiamento raggiungerà anche l'Egitto, questo è inevitabile: quel che intendo fare è prevenire uno scontro tra il governo e il popolo", ha spiegato ElBaradei, intervistato dall'Associated Press. L'ex Direttore generale dell'Aiea ha precisato di voler creare un movimento pacifico per una riforma del sistema elettorale del Paese, che garantisca un voto equo e trasparente.


Virgilio
 
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hayaty
view post Posted on 3/3/2010, 22:11




Il ritorno di El-Baradei e il futuro dell’Egitto
by Shafiq al-Ghabra*
02/03/2010


Original Version: عودة البرادعي: بداية إيجابية

Se l’ex direttore dell’AIEA Mohammed El-Baradei riuscisse ad ottenere la presidenza egiziana, l’Egitto potrebbe avviarsi a diventare un paese moderno e produttivo fondato sullo stato di diritto, riacquistando il suo ruolo guida nel mondo arabo – scrive l’accademico kuwaitiano Shafiq al-Ghabra

L’arrivo di El-Baradei in Egitto rappresenta un momento luminoso in una realtà difficile e piena di contraddizioni. Tuttavia, il ritorno di El-Baradei potrebbe essere il segnale di un ritorno dello spirito egiziano.

El-Baradei è una personalità internazionale oltre che egiziana, e fa parte di quella piccola minoranza di arabi che hanno vinto il premio Nobel. Ma la cosa più importante è che egli pensa di trasformare l’Egitto in un paese civile, moderno e produttivo fondato sullo stato di diritto. Riuscirà El-Baradei a diventare presidente della Repubblica d’Egitto e ad aprire la strada alla modernizzazione ed al rinnovamento, iniziando a edificare uno stato civile che conduca il paese verso una nuova fase di sviluppo e di riforme? Riuscirà a far rivivere lo spirito egiziano ed a ristabilire il ruolo regionale del paese?

Per giungere alla carica presidenziale El-Baradei deve superare numerosi ostacoli. Egli deve fare i conti con una costituzione che di fatto impedisce di candidarsi alla presidenza. Le condizioni per potersi presentare alle elezioni presidenziali prevedono che l’aspirante candidato sia stato membro della direzione generale di un partito per almeno un anno, oppure abbia il sostegno di 250 membri eletti del Consiglio del Popolo e della Shura (i due rami del parlamento (N.d.T.) ). Queste condizioni sono proibitive e devono essere emendate. Tuttavia il secondo problema è fino a che punto il presidente Mubarak desidererà rimanere alla presidenza per un ulteriore mandato, cosa che potrebbe spingerlo a candidarsi nuovamente. Anche questo fatto rappresenta una sfida per El-Baradei.

Egli ha di fronte a sé il Partito Nazionale Democratico, ovvero il partito di governo, il quale gode di numerosi privilegi ed ha la possibilità di controllare la situazione. Ha di fronte a sé anche l’esercito e l’establishment della sicurezza, che fino a questo momento hanno rappresentato il potere essenziale per governare l’Egitto. L’unico governo nazionale autoctono che ha conosciuto l’Egitto è stato quello degli Ufficiali Liberi e dell’esercito nel 1952. Da allora in poi, il paese non è stato governato da nessuno che non appartenesse all’establishment militare.

Perciò, se El-Baradei riuscisse ad ottenere la poltrona presidenziale sarebbe il primo presidente egiziano civile nella storia del paese. E’ evidente che l’establishment militare si è già impegnato in numerosi dibattiti sul futuro, e sembra propenso a rimanere estraneo a un coinvolgimento diretto nel processo politico, tuttavia entro certi limiti.

La missione di El-Baradei potrebbe dunque sembrare impossibile. Tuttavia non sono proprio le missioni impossibili che a volte si realizzano, riducendo le sofferenze dei popoli e delle nazioni? Che Obama giungesse alla presidenza americana non sembrava una cosa impossibile all’inizio dei suoi sforzi? Perché l’ascesa di El-Baradei alla presidenza egiziana non potrebbe essere, a sua volta, la realizzazione di un’idea ormai giunta a maturazione, e di una missione a lungo attesa in Egitto?

El-Baradei, che ha vissuto lontano dal paese per decenni, potrebbe rivelarsi il più adatto per l’Egitto. Il paese ha bisogno di qualcuno che abbia vissuto un’esperienza internazionale della più vasta portata, che abbia trattato le crisi mondiali e che sia in grado di guardare il paese con occhi nuovi e con aspettative diverse.

Ricordiamo che El-Baradei è l’uomo delle crisi impossibili, ed è questo di cui ha bisogno oggi l’Egitto, che ha attualmente più di 80 milioni di abitanti ed affronta una delle sue crisi più gravi, con milioni di egiziani disoccupati e milioni di giovani in cerca di lavoro.

Coloro che hanno conosciuto l’Egitto degli anni ’50 e ’70 sanno bene che esso giocò un ruolo guida nel pensiero, nelle arti, nella letteratura, nella politica e nell’innovazione. Tuttavia, a causa di numerose crisi, l’Egitto ha perso ciò che lo contraddistingueva, e sembra aver congelato le proprie energie migliori.

L’Egitto è il paese arabo più stabile in termini di storia e di potere dello stato. Dall’Egitto nacquero il movimento dell’illuminismo arabo antico, la corrente dei Fratelli Musulmani, e il nazionalismo arabo moderno. La posizione dell’Egitto, dal punto di vista della storia, del numero di abitanti, dell’estensione geografica, e del prestigio politico, resta di importanza fondamentale nella struttura del mondo arabo. Per questi motivi, la buona salute dell’Egitto significherà al tempo stesso la buona salute degli arabi.

Potremmo trovare molte scuse a giustificazione del declino dell’Egitto. Sappiamo bene che Sadat cercò di andare verso le aperture e le riforme economiche, tuttavia egli non riuscì a riformare la politica. Firmando la pace con Israele, Sadat alleggerì l’Egitto di molti dei suoi fardelli economici, tuttavia ciò fece entrare il paese in un altro tunnel, quello dei rapporti con gli Stati Uniti e con Israele, e dei contrasti con gli altri paesi arabi.

L’assassinio di Sadat fece entrare l’Egitto in una lunga crisi di sicurezza. Da allora il paese soffre del peso delle leggi di emergenza e di varie questioni di sicurezza. Tutto questo naturalmente lo ha allontanato dalla via dell’innovazione e delle riforme, che richiedono stabilità, apertura, pluralismo e desiderio di rinnovamento.

E’ evidente che il carattere dell’Egitto differisce da quello degli altri paesi arabi. Gli egiziani sono gli arabi più disponibili e pronti alle riforme, e quelli meno propensi alla violenza ed alla rivoluzione. Malgrado alcuni episodi di collera e di aggressività, la storia del paese conferma che gli egiziani preferiscono il cambiamento tranquillo a quello rocambolesco, e la riforma graduale alla rivoluzione.

In Egitto ebbe luogo la prima rivoluzione senza spargimento di sangue nel 1952. In questo paese El-Baradei è tornato ricevendo una grande accoglienza. L’Egitto ha davanti a sé grandi opportunità. Riuscirà a coglierle?


*Shafiq al-Ghabra è professore di Scienze Politiche all’Università del Kuwait


Med Arab News
 
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hayaty
view post Posted on 5/3/2010, 19:41




Mubarak su el Baradei: l'Egitto non ha bisogno di nuovi eroi

Berlino, 5 marzo - In visita in Germania per dei controlli medici, il presidente egiziano Hosni Mubarak ha detto, citato dall'Afp, che se Mohammed el Baradei vuole candidarsi alle prossime presidenziali egiziane deve scegliersi un partito o presentarsi come indipendente e rispettare la Costituzione. Mubarak ha aggiunto che l'Egitto non ha bisogno di "nuovi eroi". El Baradei ha fondato di recente un'Associazione nazionale per il cambiamento in Egitto e non ha escluso di partecipare alle presidenziali del 2011.


Arab Monitor
 
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hayaty
view post Posted on 13/4/2010, 15:51




Appello di ElBaradei ai partiti: Boicottate le elezioni

Il Cairo, 12 aprile 2010

Mohammed ElBaradei, uno degli oppositori più autorevoli del presidente egiziano Hosni Mubarak ha lanciato un appello ai partiti egiziani a boicottare le prossime elezioni politiche e presidenziali. Lo ha riferito Ibrahim Nawar, rappresentante del partito di opposizione Fronte nazionale presente a un meeting cui ha partecipato l'ex capo dell'Agenzia internazionale dell'energia atomica (Aiea). Secondo quanto affermato da Nawar, ElBaradei ha invitato gli egiziani a "togliere" legittimità al regime del presidente Hosni Mubarak, alla guida dell'Egitto da 29 anni, boicottando l'appuntamento con le urne. ElBaradei ha chiesto anche la riforma della costituzione per consentire un voto libero e giusto.


APCom
 
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hayaty
view post Posted on 19/5/2010, 17:13




Egitto: ElBaradei il guastafeste
di: Matteo Bernabei

17 Maggio 2010


Manca poco meno di un anno alle elezioni presidenziali egiziane, evento che segnerà una svolta per il Paese nordafricano. Quello che si deciderà in questi dieci mesi che mancano alla chiamata alle urne è la reale entità del cambiamento che si avrà ai vertici del Cairo. Dopo 30 anni di ininterrotto governo l’eterno presidente Hosni Mubarak lascerà la poltrona a un successore, ovviamente già designato. Il capo di Stato nel lungo corso di tutte le sue legislature ha, infatti, avuto modo di organizzare un ottimo sistema elettorale in grado di impedire la candidatura di persone scomode o a lui poco gradite e allo stesso tempo di preparare il terreno per l’ascesa al potere del figlio Gamal.
Non è possibile candidarsi se non si è appoggiati ad un partito già esistente in parlamento da almeno quattro anni, non esistono commissioni che vigilino sullo svolgimento delle elezioni o garanzie costituzionali a riguardo e tanto meno è possibile che osservatori internazionali partecipino alle consultazioni in veste di garanti. E mentre papà Hosni si dilettava a limitare il processo democratico di un Paese che nei fatti è una dittatura, il figlio Gamal compieva una rapida scalata ai vertici del Partito nazionale democratico del quale il vecchio Mubarak è stato letto presidente nel 1982.
C’è però una possibilità che i piani della famiglia “reale” possano essere rovinati da Mohammed ElBaradei, ex presidente dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica, premio nobel per la pace nel 2005 insieme alla stessa organizzazione e ambasciatore del Cairo presso le Nazioni Unite, che gode di un forte consenso popolare e che in passato si è addirittura permesso di denunciare la mancanza di democrazia nel proprio Paese. Una denuncia ribadita di nuovo ieri dalle colonne del Corriere della Sera. L’ex capo dell’Aiea ha inoltre invitato il governo del Cairo a far sì che le cose cambino nel più breve tempo possibile per evitare che il malcontento che sta crescendo sempre più tra la popolazione possa sfociare in futuro in manifestazioni violente. ElBaradei, che in passato si era detto pronto a candidarsi, si è invece mostrato perplesso nella sua ultima intervista a causa dei limiti imposti dalle leggi attuali.
In particolare il premio Nobel contesta la necessità di appoggiarsi al partito religioso dei Fratelli musulmani per poter concorrere alla presidenza e non perché nutra antipatia per il movimento, ma semplicemente perché in questo modo la sua candidatura sarebbe facilmente strumentalizzabile. Cosa che per l’appunto sta già accadendo. Per paura che questa alleanza ipotetica possa diventare realtà, infatti, il presidente Mubarak si è dilettato nel paragonare i Fratelli musulmani ad al Qaida e ad altri movimenti islamici radicali, accusandoli di voler imporre la sharia anche in Egitto. Ovviamente si tratta di falsità sia perché il partito religioso è ben lontano da posizioni radicali, sia perché l’Egitto è una Repubblica islamica nella quale di fatto la legge coranica è gia applicata. ElBaradei ha per questo dato il via ad una raccolta firme che ha già raggiunto quota centomila con l’obiettivo di sorpassare il milione per far sì che l’esecutivo si pieghi alla volontà popolare e consenta a candidati indipendenti di presentarsi alle prossime elezioni.


Rinascita
 
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hayaty
view post Posted on 21/5/2010, 22:41




Egitto: El-Baradei contro il potere mummificato del faraone

di Amir Madani
21/05/2010


L'Egitto prima e dopo Mubarak. Le proposte pacifiste di El-Baradei. La ricerca della democrazia in un paese diviso dalla corruzione e dalla povertà. Il potere forte dell'Islam e tante domande sul futuro politico di un paese mummificato.
L’Egitto dei faraoni continua ad attrarre, ma l’importanza dell’Egitto d’oggi è determinata dal suo peso nel mondo arabo-islamico. Se l’anima orientale dell’Islam ha luogo tra la Mesopotamia e la Transoxania, e nelle zone limitrofe, l’anima dell’Islam occidentale ha come centro l’Egitto e i suoi dintorni. La prima scissione nell’Islam tra l’assolutismo letteral - deista sunnita e il razionalismo antropomorfico basato sull’ imamato e sul culto dei santi nello sciismo ha il suo primo terreno in Egitto.

Infatti, mentre a Baghdad regna il califfato sunnita degli Abbasidi (750-1258), sorto sulle ceneri del califfato omayyade (661-750) sunnita di Damasco, in Egitto si instaura il primo califfato degli sciiti ismailiti dei Fatimiti ( 969- 1171), che fonda anche la più prestigiosa università islamica di al-Azhar. Successivamente in Egitto i sunniti con Saladino ed altre dinastie prevalgono violentemente mentre lo sciismo come ideologia di lotta con forti connotati popolari si sposta in Oriente ed esattamente in Persia e viene imposto con forza come la religione di stato con i Safavidi( 1501-1736) i quali si alleano con lo stato pontificio di Roma per poter contrastare il “nemico comune” cioè l’espansionismo ottomano dei sunniti.

A differenza dell’Iran che conserva la propria lingua e cultura, l’Egitto si dissolve pienamente nell’Islam e nella lingua e cultura araba. Questo aspetto è tipico dell’espansionismo arabo che dove arriva non pensa a colonizzare, ma comincia a lavorare con ardore e passione costruendo ed abbracciando pienamente la vita autoctona per assimilarla ed assorbirla del tutto. Questo ciclo integrale in nome di Allah a cui tutto deve essere subordinato e tutti devono arrendersi in modo pieno e totale.

Con il dissolvimento del califfato ottomano, (1774-1924) che aveva incorporato pienamente l’Egitto, arriva il colonialismo franco-inglese. Nel 1922 Londra «concede » unilateralmente l’indipendenza, ma il Canale di Suez continua a essere di proprietà inglese. Dopo la seconda guerra mondiale, il partito nazionalista Wafd riprende la lotta per la fine dell’occupazione. A essa parteciparono giovani wafdisti, socialnazionalisti, comunisti e i Fratelli Musulmani.

Nel 1952, i «liberi ufficiali», tre giorni dopo aver assunto il potere, cacciano il re. Il 18 giugno 1953 proclamano la repubblica e nominano presidente il generale Naghib che tenta di restituire il potere ai partiti. Ciò lo mise in conflitto con Nasser, che nel 1954 ebbe la meglio, dopo una prova di forza, divenendo presidente. Nasser sull’onda delle passioni ed entusiasmi rivoluzionari si è dato poteri molto ampi, cominciando a reprimere sia i comunisti che i Fratelli Mussulmani, ma ha intrapreso anche riforme religiose dichiarando lo sciismo perseguitato come una delle religioni dell’Islam.

Nasser promosse una riforma agraria che assestò colpi mortali alle strutture feudali; si rifiutò di aderire al Patto di Baghdad, patrocinato dagli Usa in funzione antisovietica; ottenne il ritiro definitivo degli inglesi dal Canale di Suez; entrò nel campo dei «non allineati» partecipando con India, Cina e Jugoslavia alla conferenza di Bandung (aprile 1955); ruppe il «monopolio (occidentale) delle armi» ottenendo forniture belliche dall’Urss e incoraggiò ovunque i movimenti di liberazione, dal Marocco, all’Algeria, all’Africa Nera.

Questa linea di «neutralismo attivo», aggressivo, militante, ha dato all’Egitto la leadership del mondo arabo ma ha attirato su Nasser l’odio delle potenze coloniali, soprattutto di Gran Bretagna e Francia, ma anche degli Stati Uniti, i cui interessi tuttavia non coincidevano con quelli di Londra e Parigi. Le potenze hanno sostenuto Israele contro il quale Nasser ha perso la guerra, ma non la popolarità nel mondo arabo. Il generale Anwar Sadat, il successore di Nasser, fece pace separata con Israele a Camp David raccogliendo le simpatie occidentali ma fece perdere la leadership del mondo arabo all’Egitto. Sadat fu assassinato dagli ambienti del jihadismo e a lui succedette Hosni Mubarak, il quale governa alla guisa di un faraone, vincendo dal 1981 le elezioni proforma con alte percentuali.

Il pensiero riformista in Egitto ha due principali filoni. Il primo, di stampo islamico, ha come precursore Jamal al-din Afghani e i suoi allievi come il puritano Muhammad Abduh, fino al fondatore dei fratelli musulmani Hasan al-Bana il cui nipote, Tarek Ramadan, musulmano europeo di nascita e “formazione”, continua con i suoi messaggi ambigui volendo far discutere la pena di lapidazione addirittura in Europa. Il secondo filone, che rappresenta il riformismo laico, vede come precursori personaggi come R.Tahtavi (1801-1873), Shebli Shomeyl (1850-1917) e Taha Hossein (1889- 1973) che voleva applicare il metodo di Cartesio nella ricerca .

A tutt’oggi queste due tendenze sono presenti nella vita politico–culturale dell’Egitto. Da un lato i fratelli musulmani che, pur soffrendo le continue lotte intestine ed essendo sotto la costante pressione delle varie correnti del jihadismo altromondista, continuano a sognare un califfato islamico. I fratelli musulmani, anche se raccolgono il voto dei ceti più poveri, sono – come afferma Samir Amin - assenti dalle reali lotte sociali a favore delle categorie meno abbienti e si schierano quasi sempre con la conservazione e lo status quo. Per i fratelli musulmani – de facto - la vera giustizia appartiene all’altro mondo e quel che si può fare in questo mondo a favore delle categorie di meno abbienti (poveri) è l’elemosina (sadaqah). Perciò quel che in una lotta democratica viene considerato un diritto negato e da conquistare, per i fratelli de facto è una concessione. La solidarietà dei fratelli musulmani è all’insegna della filantropia.

Di fronte a questo approccio delle tendenze di stampo religioso ci sono le pallide sinistre , i partiti democratici più o meno laici e delle forze politiche d’opposizione al regime come Kifaya (basta), che sia per l’effetto delle politiche repressive del regime, sia per l’affievolirsi di propositi ideali sembra che siano ridotte quasi a dei surrogati del potere . Di fronte ai fratelli musulmani e ai deboli partiti politici d’opposizione c’è lo strapotere del partito Nazional Democratico di cui un deputato esorta apertamente le forze di polizia e di sicurezza a sparare contro chi si oppone al suo dominio incontrastato e manifesta a favore della candidatura di El-Baradei, il moderato diplomatico e premier Nobel per la pace.

L’oligarchia egiziana come un mix di repressione e ricchezza gravita sulla famiglia e sulla persona di Hosni Mubarak il quale gode del sostegno di una costituzione fatta ad personam. C’è un’ economia debole basata sull’agricoltura, sulla vendita di poche materie prime, sul turismo e sulle rimesse degli emigrati (in Arabia Saudita e scieccati, ma anche Europa e Usa) . In un quadro di diffusa povertà, Mubarak possiede ricchezze incalcolabili raccolte grazie al neoliberismo sregolato all’insegna della corruzione.

La famiglia Mubarak, insieme all’oligarchia di potere, controlla quasi tutti i principali media e quell’insieme di strutture di sicurezza che applicano una violenza sistematica contro ogni forma di disobbedienza. Mubarak come un generale appartiene anche all’apparato militare senza il consenso del quale a nessuno è consentito di governare in Egitto e come un mix di faraone - califfo - generale regna incontrastato da decenni e vuole la successione in famiglia.

Il partito di potere non è stato capace di riforme, di modernizzare la società schiacciata sotto il peso della povertà , delle tradizioni e delle usanze del passato (la circoncisione femminile è emblematica), di combattere la povertà che investe ceti sempre più ampi. Quasi un milione di cairoti vive nei cimiteri del periodo ottomano. La povertà in Egitto ha raggiunto un tale livello da togliere quasi ogni significato politico alle rivendicazioni sociali. Gli egiziani infatti combattono per il pane, senza forse più pensare alle responsabilità del sistema. Malgrado questa povertà l’Egitto è uno dei più grandi compratori di armi. Il caso egiziano è un classico caso di quei regimi arabi che, divisi tra monarchie assolutiste e presidenti a vita, vedono il voto democratico come un nemico da combattere con qualsiasi arma.

In questo quadro El-Baradei, ex presidente della IAEA, ( il braccio operativo dell’ONU in materia nucleare), e premio Nobel per la pace, si presenta come probabile candidato alle presidenziali per concorrere contro Mubarak e soprattutto contro il sistema basato sul nome del faraone. I suoi propositi sono: elezioni libere e monitorate, la fine dello stato d’emergenza, governo democratico , libertà di stampa, modernizzazione. Se il regno di Mubarak ha trasformato l’intero Egitto in una città-cimitero dei tempi dei faraoni (le città dei faraoni in realtà sono città dei morti) l’ipotesi della candidatura del moderato diplomatico ha dato anima alla società egiziana che usando nuove tecnologie ed internet, si è messa in marcia: la società civile, sindacati , personalità , intellettuali, donne ,giovani, studenti, attivisti per i diritti e soprattutto semplici cittadini.

El-Baradei, secondo l’attuale costituzione, non potrebbe nemmeno candidarsi in quanto dovrebbe essere da almeno un anno membro della direzione di un partito politico, mentre lui è rientrato nella terra natia dopo 25 anni di carriera diplomatica all’estero. Oppure dovrebbe avere il sostegno di 250 deputati eletti della due camere (Shura e Consiglio del Popolo), un fatto più impossibile che difficile. Il vecchio diplomatico sa anche che nessuno emenderà la costituzione per rendere possibile la sua candidatura. El-Baradei, anche se afferma che “i mezzi pacifici sono l’unico modo per evitare le violenze”, nel contempo fa capire di "non volere giocare nell’ambito istituzionale, secondo le regole di questa pseudo – democrazia” e parla addirittura della rivoluzione “non per il popolo ma con il popolo”.

El–Baradei vede che l’estrema povertà ha ridotto la lotta degli egiziani a rivendicazioni come aumenti salariali e miglioramenti delle condizioni di vita ma senza connotati politici. Perciò afferma: la maggior parte degli egiziani devono essere introdotti ed educati in merito ai diritti fondamentali. Albert Camus aveva sostenuto: chi ti porta via la libertà, domani ti porterà via anche il pane. Sembra che El-Baradei incalzi Camus quando afferma: “la gente deve capire il collegamento tra il pane che mangia e la democrazia”.

El-Baradei sostenuto da ampie fasce della società civile , dal mondo della cultura e del lavoro , dai nazionalisti di al-Wafd, da Amr Musa (presidente della Lega Araba), dall’Associazione degli egiziani d’America AEA e da una parte dei fratelli musulmani, ha annunciato la formazione dell’“Associazione Nazionale per il Cambiamento”. L’incognita è la posizione dei fratelli musulmani, che chiedono di poter formare un partito politico in caso di vittoria e ciò potrebbe irritare gli Usa e Israele che El-Baradei non ha esitato a criticare insieme all’ONU su più questioni, come la guerra in Iraq: “continuo a chiedere quale principio di diritto internazionale permette di invadere un altro paese?” .

In mezzo a una alta crescita demografica la povera economia egiziana basata sull’agricoltura , turismo, vendita di poche materie prime e rimesse degli emigrati non regge . L’Europa assorbe parte della manodopera egiziana. Gli Usa forniscono ogni anno oltre 2 miliardi di dollari del denaro del contribuente americano in aiuti alla disastrata economia egiziana e alcuni ambienti dell’establishment Usa potrebbero non gradire le critiche del vecchio diplomatico. Ma potrà l’America democratica del presidente Obama continuare a sostenere un regime di polizia corrotto fin nelle viscere che si nutre di violenza e corruzione ed è incapace di amministrare con minima decenza il maggior paese del mondo arabo?

E’ arcinoto che buona parte del jihadismo islamico si forma e proviene dall’Egitto. Gli estremismi di matrice confessionale nascono essenzialmente nella palude del non – diritto creati dai regimi tirannici . Il regime di Mubarak invece di intraprendere le riforme per combattere e prosciugare le palude dove nascono e crescono le tendenze estreme all’insegna del terrorismo, con il capro espiatorio di combattere il terrorismo jihadista, si nutre d’aiuti ma de-facto esporta terrorismo verso altre aree, in Iraq, nelle zone tribali tra Afghanistan e Pakistan e altrove. La lotta per i diritti e la democrazia riguarda soprattutto l’Egitto e gli egiziani ma i fattori geopolitici ed componenti internazionali hanno loro peso ed anche notevole .

Nelle cancellerie dei paesi democratici è il momento che qualcuno cominci a pensare alla reale democrazia come un valore di fondo che è all’origine della stabilità e della sicurezza. Bisogna che nell’America democratica e realista e nelle cancellerie europee si ponga la domanda : per quanto tempo misure tampone (con alti costi ) di sostegno ai regimi dittatoriali potrebbero reggere prima di una esplosione che causi una instabilità e una insicurezza globale? È noto che gran parte del mondo islamico sunnita viene essenzialmente gestito attraverso gli editti emessi dalla massima autorità del mondo islamico quale è al-Azhar che ha sede al Cairo. Il perpetuarsi del potere irrispettoso dei diritti , in assenza di un reale “change” potrebbe far esplodere la situazione e far prevalere gli indirizzi jihadisti all’interno di al Al-Azhar . In quel caso non solo gli Usa e l’Europa ma anche i russo - cinesi avranno dei problemi molto seri di stabilità.

Per poter isolare gli estremismi jihadisti bisogna dialogare con l’Islam moderato che rappresenta una grande civiltà e non cedere all’islamofobia. Questo Islam moderato che si mostra disponibile a sostenere la candidatura di un diplomatico moderato. Saranno gli sviluppi futuri a dimostrare se El-Baradei sarà il primo presidente civile egiziano o farà la fine di Ayman Nour, leader del partito liberale d’opposizione al-Ghad (Domani), che per non pretendere un voto democratico è stato messo in carcere. Mubarak intanto continua a fa capire di non voler abbandonare il potere personale che nell’autoconservarsi ha raggiunto lo stato di mummificazione piena .

Oltre 300 milioni di arabi soffrono la mancanza di un Martin Luther King e sono schiacciati tra i movimenti confessionali di stampo jihadista e i regimi che si reggono sulle strutture di sicurezza. Bisogna dimostrare che esiste una terza via capace di contrastare attraverso la cultura di diritto (e il conseguente stato di diritto) la violenza del terrorismo e della guerra e combattere chi promette la terra della desolazione. El-Baradei, che da settimane non porta altro che cravatte verdi (richiamo al movimento della società civile iraniana), è una figura emblematica di questa battaglia che va sostenuto da chi crede nei diritti, nella stabilità, nella sicurezza come elementi base della pace perpetua.

C’è una domanda forte per la democrazia in tutto il Medio Oriente, l’Eurasia e i dintorni. Una domanda che, a differenza del passato, è all’insegna della moderazione basata sulle istanze dei movimenti della società civile. Avere il coraggio di sostenere le richieste di questi movimenti significa anche emarginare tendenze estreme e garantire la sicurezza.


Limes
 
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