24 gennaio 2014
Egitto, attacco contro polizia e metrò
Sangue sul terzo anniversario di Tahrir
Serie di attentati al Cairo: 5 morti e oltre 50 feriti. Scatta lo stato di allerta.
Il gruppo jihadista Ansar beyt el Makdes ha rivendicato l’attacco su TwitterFrancesca Paci
L’esplosione al Cairo
A una settimana dal referendum che ha approvato la nuova Costituzione benedetta dall’esercito con un percentuale bulgara di sì (98%) ma con un’affluenza assai più bassa del previsto (38%), il Cairo si sveglia con le ambulanze, le sirene della polizia, la notizia di almeno 5 morti e decine di feriti ma soprattutto di un trittico di attentati così “spettacolari” nella dinamica e nella tempistica da evocare routine irachene a cui l’Egitto non è affatto abituato.
La prima esplosione è avvenuta in centro, Cairo Downtown, dove un’autobomba ha puntato il quartier generale della polizia a pochi passi dal museo islamico. Secondo il ministero dell’interno il kamikaze, uno spettro che nel paese non si aggirava dagli anni ’90, si sarebbe lanciato contro la facciata dell’edificio facendo almeno 4 morti e una settantina di feriti. Anche il museo, casa di una eccezionale collezione di 2500 pezzi di antica arte islamica, sarebbe stato pesantemente danneggiato. La seconda bomba, un ordigno artigianale, ha colpito nel quartiere di Dokki, tra il Nilo e un’altra centrale di polizia, uccidendo, pare, una persona. La terza, a distanza di poco tempo, è detonata a Giza, ancora davanti a un commissariato.
Sebbene gli attentati siano già stati rivendicati dal gruppo jihadista Ansar Bayt al-Maqdis, il governo a interim si è affrettato a puntare l’indice contro chi vuole destabilizzare l’Egitto in attesa della data per le elezioni presidenziali e parlamentari, vale a dire quei Fratelli Musulmani che il 25 dicembre sono stati dichiarati organizzazione terroristica. Da agosto, dopo la deposizione forzata del legittimamente presidente Morsi e l’estromissine dalla vita politica dei Fratelli, il paese si è fortemente polarizzato. Da una parte i sostenitori dei Fratelli (i cui leader, oltre 2000, sono tutti in prigione), dall’altra il resto del paese, nostalgici del regime, copti, borghesi, imprenditori e rivoluzionari liberal che però sono sempre più spaccati al loro interno sulla svolta autoritaria dell’esercito, acclamato a luglio come salvatore della patria (moltissimi non hanno votato al referendum in protesta contro la repressiva nuova legge che vieta le manifestazioni e ha portato in carcere oltre agli islamisti diversi attivisti). Nel frattempo si sono moltiplicati gli attentati a sedi di polizia e delle forze di sicurezza nell’istabile Sinai ma anche ad ALessandria, Mansura, Suez, nel Delta del Nilo.
Al Cairo non si era ancora vista una cosa del genere. E’ l’escalation? I Fratelli smentiscono ogni responsabilità su Twitter e condannano gli attentati. Ma per le strade vicino ai luoghi degli attentati si sentono già egiziani che invocano la pena di morte per i Fratelli. COn il processo a Morsi (e altri leader) imminente e con il generalissimo el Sisi, il potente ministro della difesa artefice della cacciata di MOrsi, che non ha ancora annunciato la sua probabile candidatura alle presidenziali, la situazione spinge la popolazione a stringersi intorno ai militari.
“Sono loro, i Fratelli, vogliono mandare un messagio alla gente per dire che l’esercito non può proteggere il paese ma voglio mandare un messaggio anche all’establishment per dire che nonostante gli siano stati tagli i fondi in Egitto hanno abbastanza soldi dall’estero per colpire il cuore del paese. E’ un ritorno parziale agli anni ’90, ma la differenza è che la gente oggi sa chi sono perchè li ha visti governare” dice una fonte nelle forze di sicurezza. La versione di un’altra fonte, molto vicina alla Fratellanza, è opposta : “E’ un attentato fatto in casa, confezionato per gonfiare il sostegno al nuovo regime, non siamo stati noi perchè a noi questa escalation non conviene”.
In mezzo a questo scontro antico tra generali e islamisti ci sono gli egiziani. Ahmed, un liberal e rivoluzionario della prima ora, è depressissimo: “E pensare che domani, 25 gennaio, è il terzo anniversario della rivoluzione”. Il 25 gennaio è anche la festa della polizia, i rivoluzionari di Tahrir lo scelsero apposta nel 2011 per protrestare contro gli agenti che prima dell’avvento dei Fratelli erano considerati il nemico, il braccio armato e corrotto del regime di Mubarak.
La Stampa