Mal d'Egitto

L'Egitto e la striscia di Gaza

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O t t a
view post Posted on 24/7/2013, 16:24




Egitto: Hamas respinge accuse, nessun ruolo nella crisi
Non proteggiamo leader Fratellanza nè abbiamo miliziani in Sinai


23 luglio 2013 - 16:47

GAZA - "Non abbiamo avuto alcun ruolo nella crisi politica in Egitto. La stampa egiziana deve cessare di lanciare accuse nei nostri confronti": lo ha ribadito oggi il leader di Hamas a Gaza, Ismail Haniyeh, dopo che la stampa egiziana ha sostenuto che nella Striscia si rifugiano esponenti dei Fratelli Musulmani. Secondo media egiziani, infatti, un dirigente dei Fratelli Musulmani egiziani avrebbe trovato riparo a Gaza e sarebbe protetto da miliziani di Ezzedin al-Qassam, il braccio armato di Hamas. Inoltre, vi sarebbe un legame diretto fra la striscia di Gaza e i miliziani islamici che nelle ultime settimane hanno condotto nel Sinai una serie di attacchi armati. Haniyeh ha poi ribadito che Hamas non ha inviato propri miliziani nel Sinai e ha lamentato che palestinesi si trovano ora in difficoltà in Egitto per il tono astioso verso di loro assunto da mass media locali. Negli ultimi tempi le forze egiziane hanno distrutto molti dei tunnel sotto la frontiera con Gaza attraverso i quali Hamas si garantisce il passaggio di armi, merci e persone. E un ulteriore stretta sui tunnel ha anche fatto seguito alla destituzione del presidente Mohammed Morsi dopo il 30 giugno.

D'altra parte lo stesso Morsi aveva deluso le aspettative di Gaza sull'apertura della frontiera, nonostante i legami anche ideologici tra i Fratelli musulmani egiziani e Hamas.

L'esercito egiziano ha comunque allentato da ieri la chiusura del confine fra il Sinai e Gaza. Lo ha constatato un giornalista dell'ANSA, secondo cui da ieri sono tornati in funzione alcuni tunnel dai quali vengono introdotte nella Striscia quantità, peraltro modeste, di combustibile e materiale per la costruzione.

Mentre nella linea di confine regna oggi la calma, nella Striscia resta elevata la tensione dopo che ieri elicotteri militari egiziani hanno sorvolato la sua zona meridionale.


ANSAmed
 
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O t t a
view post Posted on 25/8/2013, 15:47




Egitto: riaperto il valico di frontiera di Rafah

24 agosto 2013 - 16:34

È stato riaperto l’unico sbocco vitale per i palestinesi di Gaza.
L’Egitto, dopo quasi una settimana di chiusura, ha nuovamente permesso l’accesso per quattro ore del valico di Rafah. In questi giorni centinaia di palestinesi erano rimasti bloccati da due lati della frontiera.
Questo passaggio rappresenta il solo punto di accesso al mondo per i palestinesi della Striscia.
Israele infatti permette di entrare nel proprio territorio a un numero ristretto di cittadini di Gaza.

In questi giorni centinaia di palestinesi erano rimasti bloccati da due lati della frontiera.

“Se non riesco a passare ora perderó il semestre all’Università – dice Abdallah al-Haw, studente – e dovró rimandare al prossimo. É un enorme problema questo per noi che studiamo in Egitto, gli studi rischiano di costarci ancora di piú”.

“Andró in Arabia Saudita – aggiunge Musa Islibi, cittadino palestinese – Son venuto qui due volte nelle ultime settimane e non ne posso piú”.

Una situazione che non investe solo i palestinesi.

“É da lunedí che aspetto di passare il valico per andare in Egitto – Andrew Karney, spiega un cittadino britannico – C‘è moltissima gente qui ad attendere già da molto tempo”.

É dal colpo di stato in Egitto contro Mohamed Morsi, che il Cairo apre il valico con il contagocce. Una ritorsione contro Hamas, al potere a Gaza, accusato di appoggiare il presidente islamico deposto. D’ora in poi il valico sarà aperto solo per qualche ora al giorno.

Euronews
 
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O t t a
view post Posted on 22/10/2013, 00:04




20/10/2013

L’Egitto sigilla i tunnel
Nella Gaza abbandonata muore anche la speranza


L’esercito del Cairo dichiara guerra al mercato clandestino sotterraneo
Hamas sempre più isolato dopo aver perso il sostegno di Siria e Iran


di Francesca Paci (inviata a Gaza)

Superate le ultime disabitate palazzine di Rafah, estremo lembo di Gaza prima del deserto dominato dalla bandiera egiziana, ci sono i soliti teli di plastica polverosi, i crateri di sabbia, le palizzate sbilenche da cui penzolano cavi, caschetti da edile, magliette incartapecorite. Ma invece del cigolio delle carrucole, il rombo delle molazze, le mille voci degli operai sovrapposte al raglio degli asini da soma, si sente, unico, il fischiettio di Nassim che prepara il tè sul fuoco acceso in una buca. «Di 1200 gallerie è rimasto utilizzabile meno del 20%, si lavora soprattutto per ripulire le altre dall’acqua marina o dal cemento che ci buttano dentro gli egiziani, un danno peggiore dei vecchi bombardamenti israeliani» racconta.

Sembra passato un secolo dal 2011, quando assicurava alle due mogli e ai figli 800 dollari al giorno anche solo trasportando biciclette, e ne sembrano passati dieci dalla successiva era Morsi, vagheggiata motrice della riscossa palestinese: oggi, con qualche carico notturno («ma senza uscire dall’altra parte perché i soldati in borghese sono ovunque»), Nassim arriva a 30 dollari alla settimana.

Da quando l’esercito egiziano ha esteso la guerra al terrorismo al mercato clandestino sbocciato negli ultimi sei anni sotto i 12 km di frontiera con il Sinai, non c’è più luce in fondo ai tunnel che hanno finora mantenuto oltre 15 mila famiglie pompando l’economia di Gaza.

Continua alla fonte
La Stampa
 
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O t t a
view post Posted on 15/11/2013, 16:24




15 novembre 2013

Gaza allagata dalle fogne: allarme umanitario nella Striscia assediata
La Striscia di Gaza, prigioniera del crudele embargo israeliano e isolata dalla nuova chiusura della frontiera con l’Egitto, vive la sua ennesima crisi umanitaria.


di Umberto Mazzantini

gaza+fogne


GreenReport - Questa volta a mettere a rischio la salute e il benessere dei palestinesi non è un attacco israeliano ma un depuratore che serve 120.000 persone e che è andato in tilt per mancanza di carburante che non arriva nella Striscia di Gaza a causa dell’embargo. L’acqua delle fogne ha allagato interi quartieri di quella che viene definita la più grande galera all’aperto del mondo ed il municipio di Gaza City ha dichiarato lo stato di emergenza ambientale. Sa’ad el-Deen al-Tbash, uno dei responsabili del municipio di Gaza, ha chiesto aiuto: «E’ l’inizio di una catastrofe e se il mondo non sentirà ora il nostro pianto, un vero disastro colpirà Gaza e la sua gente. Questa è una questione umanitaria, non politica. I bambini di Gaza non hanno fatto nulla per meritarsi di sguazzare nelle fogne».

I palestinesi si lamentano soprattutto perché la chiusura del valico e dei tunnel dei contrabbandieri che collegavano la Striscia di Gaza all’Egitto hanno causato una carenza di combustibile che ha portato a continui blackout, anche perché l’unica centrale elettrica di Gaza produce 65 Megawatt, un terzo dei consumi di energia della Striscia. L’Egitto ha anche bloccato i rifornimenti di combustibile a Gaza provenienti dal Qatar, accusato (a ragione) di finanziare i guerriglieri integralisti che attaccano le forze di sicurezza egiziane nella penisola del Sinai. Paradossalmente l’unico carburante che arriva a Gaza viene da Israele, che se lo fa pagare molto caro.

Ma anche il governo della Striscia non sta certamente dando buona prova di sé: mentre ieri i liquami traboccavano dal depuratore, a pochi chilometri di distanza Hamas celebrava in pompa magna, con una parata militare, la battaglia contro l’esercito israeliano dell’anno scorso. Intanto, mentre l’acqua di fogna aveva già sommerso le ruote delle auto parcheggiate ed il puzzo ammorbava la città, Raed Saad, un alto comandante di Hamas ricomparso in pubblico per la prima volta dopo anni, spiegava dove vanno a finire molti dei soldi che a Gaza potrebbero servire a far stare un po’ meglio la gente: «I nostri combattenti sono più capaci, pronti e preparati. I nostri piani sono più completi e il nostro arsenale è più sviluppato».

La battaglia iniziata del 14 novembre 2012 si scateno dopo che Israele assassinò il comandante militare di Hamas, Ahmad Jabari, come ritorsione per l’aumento del lanci di razzi da Gaza verso Israele. Nella prima settimana di guerra Israele effettuò centinaia di attacchi aerei contro obiettivi militanti, mentre Hamas e altri gruppi armati palestinesi spararono centinaia di razzi su Israele. In tutto rimasero uccisi 161 palestinesi, la maggioranza civili, e 5 israeliani sono morti. E’ stata la battaglia più feroce dopo l’offensiva israeliana di tre settimane all’inizio del 2009, quando morirono 1.400 palestinesi, tra cui centinaia di civili, e 13 israeliani.

E’ questo che Hamas celebra armata di tutto punto, mentre la sua gente sguazza nelle fogne per raggiungere case senza luce elettrica. Ma sarà difficile riportare la pace a Gaza e liberarla se all’onore per i martiri morti non si sostituirà la pietà e la solidarietà per i vivi.

La Perfetta Letizia
 
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O t t a
view post Posted on 3/2/2014, 09:20




03 febbraio 2014

Fra i profughi di Gaza rabbia e timori “Non rinunceremo alle nostre terre”

Nella moschea quartier generale di Hamas: il nemico è Israele, ma l’Egitto ci ha traditi

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Giovani militanti di Hamas nella striscia di Gaza a una manifestazione di solidarietà con i palestinesi in Siria



Maurizio Molinari
inviato a Gaza

Traditi dall’Egitto, derubati da Israele, senza fiducia nei confronti dell’America e con un incontenibile desiderio di tornare nei luoghi d’origine, da Giaffa a Beer Sheva: sono i sentimenti che pulsano nel cuore di Gaza che batte dentro la grande moschea Omari, roccaforte dei seguaci di Hamas. Sulla strada intitolata a Omar el Muktar, l’eroe della resistenza libica all’occupazione italiana, poco oltre il mercato coperto degli orafi e alcuni carretti di frutta, la moschea che porta il nome di Omar bin el-Khattab, il califfo della conquista musulmana della Palestina, è un simbolo dei fondamentalisti da quando nel giugno 2007 l’imam Mohammed al-Rafati venne ucciso da Al Fatah durante la guerra fratricida che terminò con l’affermazione di Hamas.

Nei periodi di intervallo fra le preghiere, nel grande spazio centrale i fedeli si siedono in circolo, soffermandosi a discutere sui versetti del Corano e i temi dell’attualità entrano prepotentemente nella conversazione a più voci. A guidare la discussione è Nadr al-Masry, avrà 60 anni, che cita a memoria le battaglie delle «vittorie dei soldati musulmani contro i Crociati» per evocare il paragone nello scontro «di noi palestinesi con gli israeliani che ci assediano da terra, mare e cielo lanciandoci contro bombe da una tonnellata». Ma se «gli israeliani sono il nostro peggior nemico» ciò su cui si sofferma di più è il «tradimento dei fratelli egiziani».

Basta questo accenno e dal parterre di chi lo ascolta, seduto su seggiole di plastica o steso in terra sui tappeti, si levano mugugni e mormorii di protesta alla volta del Cairo. Le grida si sovrappongono: «Vergogna», «Ci hanno abbandonato», «Non si trattano così i propri fratelli». Il motivo è la rabbia per la chiusura ermetica del tunnel fra l’Egitto e la Striscia che il governo militare di Abdel-Fattah al Sisi ha ordinato da giugno, togliendo a Gaza l’unica strada per ricevere ogni sorta di beni che alimentavano l’economia.

«Gli abitanti di Gaza e gli egiziani sono da sempre legati, come fratelli» spiega Diab Rajab, kefiah a scacchi bianconeri e tunica marrone, sottolineando come «matrimoni, scambi economici, feste religiose ed eventi collettivi dalla notte dei tempi ci hanno unito». Gli occhi quasi gli si illuminano quando ricorda «i giorni in cui andavano a passare i finesettimana al Cairo» oppure «il confine di Rafah sempre aperto, anche di notte». «L’Egitto per noi è come una seconda patria - aggiunge - proprio come lo è la Giordania per i palestinesi della West Bank». Da qui l’irritazione, la rabbia per «le ragioni politiche che oggi ci dividono dall’Egitto» dice al-Masry, riferendosi alle «vendette» dell’esercito egiziano contro il sostegno che Hamas diede ai Fratelli musulmani durante la presidenza di Mahmud Morsi.

I fedeli nella moschea sono divisi fra opposte pulsioni: da un lato la fedeltà ideologica a Hamas, dall’altro la nostalgia per un legame con l’Egitto ora impossibile proprio a causa di Hamas. Nel grande cortile, alcuni ragazzi parlando in un inglese stentato prevedono che «le cose con l’Egitto andranno anche peggio perché al Cairo stanno processando Morsi proprio per i legami con Hamas». L’amarezza è evidente e si nutre della nostalgia per l’«orgoglio dei nostri nonni quando venivano arruolati nell’esercito egiziano» durante il periodo pre-1967 che vide la Striscia amministrata dal Cairo.

Nessuno parla di Abu Mazen, dell’Autorità nazionale palestinese né di Al Fatah che qui restano gli sconfitti della mini guerra civile del 2007, ma sul negoziato condotto dal Segretario di Stato John Kerry sembrano tutti aggiornati, fin nei dettagli. «Kerry sta spingendo su noi palestinesi per farci rinunciare al diritto al ritorno nelle terre da cui ci cacciarono nel 1948 e questo per noi è inaccettabile» dice al-Masry. Questa volta i boati sono di plauso, un’ovazione che rimbomba nella volta della cupola. Più persone si alzano in piedi, per dire da dove vengono loro o sono venuti i genitori: «Giaffa, Lod, Beer Sheva, Geya, Betan».

È la geografia della Palestina pre-israeliana che fa parte della loro identità e si sovrappone alla toponomastica dell’attuale Stato Ebraico. Diab Rajab ricorda «il giorno in cui l’Haganà, l’esercito degli ebrei, arrivò con carri e aerei per cacciarci a fucili spianati dal nostro villaggio a Beer Sheva» e assicura di «voler tornare per rimettermi a lavorare sulla terra che avevo». Ibrahim El Kolak appartiene ad una famiglia di Geya, nei pressi dell’odierna Rehovot, «vogliamo tornare e non saranno certo Kerry e Obama a impedircelo». «Quelle terre sono nostre, i sionisti ce le hanno strappate, nessun leader palestinese ha l’autorità per rinunciarvi» aggiunge El Kolak sollevando consensi, e aggiunge: «Voglio tornare a Geya con i miei, ricostruirla e fare il carpentiere».

Dalla moschea Omari il tentativo negoziale di Kerry appare lontano, incomprensibile. «Gli Usa ci tradiscono da Madrid e Oslo - conclude al-Masry, nato a Giaffa - Arafat strinse le mani di Shamir e Rabin, firmò gli accordi alla presenza di Mubarak e Hussein ma per noi non è cambiato nulla, gli israeliani ci hanno rubato la terra e l’America continua a fare di tutto per proteggerli». All’origine del conflitto resta la volontà dei profughi del 1948 di tornare nelle terre che oggi appartengono a Israele. Una rivendicazione che Hamas fa propria in ogni ministero o ufficio dove campeggia - su una mappe o sottobicchieri - la cartina dell’intera Palestina, dal fiume Giordano al Mediterraneo.

La Stampa
 
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